Afleveringen
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Anche quest’ultima trasmissione, come la precedente, si sofferma sullo scadere del secolo scorso. Ma con La Monte Young e P.D.Q. Bach ci spostiamo dall’altra parte dell’Oceano Atlantico per incontrare due espressioni tipiche – per quanto fra loro lontanissime – della cultura americana.
La prima è un lavoro monumentale e infinito di La Monte Young. Alla lunghezza si aggiunge l’incompiutezza dato che vive solo nelle performance improvvisate e dunque mai definitive del proprio autore. Considerato uno dei guru del minimalismo e della musica concettuale, La Monte Young elabora The well tuned piano a partire dagli anni Sessanta. Come il titolo suggerisce, il lavoro si basa su un’idea opposta a quella che era alla base del Clavicembalo ben temperato. Qui si tratta di abbandonare la scala temperata e adottare qualsiasi forma di temperamento equabile (cioè di suddivisione dell’ottava in parti uguali) a favore di una nuova e specifica intonazione del pianoforte. Un’intonazione costruita su rapporti numerici basati sulla serie degli armonici naturali ma in modo che rimandino a un’idea di unicità e di assoluto.
L’ascolto di molti frammenti tratti dalla performance che La Monte Young fece a New York dalle 18:43 del 10 maggio 1987 all’1:07:45 del giorno successivo, sarà contrappuntato dal racconto delle caratteristiche essenziali della vicenda artistica del compositore.
Una rapida capriola e il palcoscenico cambierà totalmente. Sono piccoli, sapidi e spiazzanti i preludi e le fughe scritti da P.D.Q. Bach, personaggio immaginario creato da Peter Schickele. Il musicista statunitense, di solida formazione accademica, dapprima lavorò nel mondo del pop-folk e poi si scoprì una formidabile vocazione per performance musicali ironiche, basate sulla parodia di materiali o personaggi celebri del mondo della musica. Fu un successo clamoroso che dura tuttora e che si manifesta in una serie infinita di spettacoli, dischi e pubblicazioni.
Fra i lavori firmati da P.D.Q. Bach c’è anche The short-tempered clavier, espressione che nel linguaggio comune americano significa “irascibile”. Si tratta di una serie di preludi e fuga in cui facili temini musicali, che hanno le più disparate origini, vengono trattati con estrema serietà contrappuntistica con un effetto di straniante comicità.
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Rodion Ščedrin e Nikolaj Girševič Kapustin sono i due musicisti russi scelti, in questa puntata, a testimonianza di quanto, ancora alla fine del XX secolo, quasi trecento anni dopo la sua canonizzazione da parte di J.S. Bach, la forma Preludio e Fuga continuasse ad affascinare compositori di ogni origine, cultura ed età e così a generare tutti gli anni centinaia di nuove composizioni. Entrambi i nostri protagonisti sono infatti autori di un ciclo di 24 Preludi e Fughe per pianoforte.
Il primo è Rodion Ščedrin. Figura importante della vita musicale sovietica e post-sovietica, compositore poliedrico e di solida fortuna internazionale, eccellente pianista egli stesso, esplicitamente influenzato dall’analogo lavoro di Šostakovič, egli realizzò fra il 1964 e il 1970 una serie molto intrigante per il modo con cui riesce a coniugare il tonalismo, formule compositive moderne e aperte, rigore tecnico nelle fughe e carattere improvvisativo e aforistico nei preludi.
Il secondo è Nikolaj Girševič Kapustin che nel 1997 compie un’impresa analoga, applicando però il linguaggio compositivo del quale era diventato alfiere da quasi un ventennio: quello del jazz. Certo un jazz un po’ in salsa russa (quello che era stato consentito dal regime sovietico) e soprattutto un jazz che cerca di innestare in una forma codificata e rigidamente strutturata come la fuga, la vivacità di uno stile improvvisativo e swingato. Il risultato è un po’ curioso, ma assai significativo e coinvolgente. Certo, come sempre in questi casi di ibridazione stilistica, il rischio è di scontentare sia i puristi del jazz (“Dio mio, musica scritta; e l’improvvisazione?”) che quelli del contrappunto classico (“È impossibile seguire il decorso delle voci e poi dove sono i divertimenti?”), ma vale la pena di correrlo.
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Zijn er afleveringen die ontbreken?
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Rendere ancora una volta omaggio all’arte di Mario Castelnuovo Tedesco val bene un’eccezione al focus di questo ciclo che, come è noto, si concentra sulle composizioni pianistiche. Il compositore fiorentino sta ancora aspettando la consacrazione nell’Olimpo dei grandi che gli fu negata dalle sue vicende storico-biografiche. Un mancato riconoscimento a cui hanno contribuito le leggi razziali fasciste e il combinato postbellico fra assolutismo dominante del pensiero compositivo delle avanguardie – a cui Castelnuovo Tedesco non apparteneva – e pigrizia nella programmazione da parte degli enti di produzione. Dunque ogni contributo che aiuti ad aumentare la conoscenza del suo sterminato catalogo è positivo. Anche se, come in questo caso, si rivolge al repertorio chitarristico, che ha quasi occultato, nella percezione più diffusa, le altre parti della sua produzione.
Ascolteremo infatti ampi estratti da Les guitares bien tempérées: 24 Préludes et Fugues pour 2 guitares. Un titolo scherzoso e ambizioso nello stesso tempo, che richiama esplicitamente il modello bachiano. Un modello che si riflette direttamente anche sulla struttura della raccolta: 24 Preludi e Fughe in tutte le tonalità maggiori e minori.
Stimolato dalla conoscenza e dall’ammirazione del duo chitarristico Presti-Lagoya, nel 1962 il compositore lavorò con la sua solita e incredibile velocità. In meno di tre mesi portò a compimento questo ciclo in cui poté sciorinare tutta la sua verve creativa. Senza dimenticare la sua sapienza tecnica, soprattutto nel contrappunto, e la sua inesauribile fantasia nel rigenerare antichi modelli linguistici e lessicali in chiave contemporanea. Intendendo con questo aggettivo tutta la realtà che lo circondava negli Stati Uniti dove viveva, compresi i songs dei musical teatrali o cinematografici.
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Il secondo capitolo dedicato ai 24 Preludi e Fughe op. 87 di Dmitri Šostakovič approfondisce le possibili motivazioni dalle quali – aldilà delle contingenze biografiche che tante e spesso strumentali polemiche hanno suscitato – scaturì un progetto compositivo così grande e assoluto. Nel corso della trasmissione sarà proposto l’ascolto commentato di altri sei Preludi e Fughe eseguiti dalla stessa serie di prestigiosi interpreti già protagonisti della precedente puntata.
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Meno di dieci anni dopo il Ludus tonalis, Dmitri Šostakovič conferma l’imprescindibilità del Clavicembalo ben temperato come modello per i compositori di ogni epoca. Lo fa con i suoi 24 Preludi e Fughe op. 87 . Le vicende biografiche del compositore, inscindibilmente e tragicamente legate a quelle dell’Urss staliniana, entrano potentemente anche nella nascita di questo immenso capolavoro e saranno raccontate dettagliatamente. Ma sarà soprattutto l’ascolto e la narrazione dei singoli Preludi e Fughe (in questa trasmissione saranno otto) a illuminarci sulla grande arte di Šostakovič e sul ruolo che in essa rivestivano la tecnica contrappuntistica, la scrittura pianistica e la capacità di astrarsi in una dimensione fuori dalla storia e dal tempo anche quando appare dolorosa e concreta. Straordinaria è la galleria di pianisti che si alterneranno alla tastiera: lo stesso Dmitri Šostakovič, Taiana Nikolaeva, Sviatoslav Richter, Emil Gilels, Vladimir Ashkenazy e Keith Jarrett.
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Nel pieno del Novecento (1942) e di una delle grandi tragedie che l’hanno caratterizzato (la Seconda Guerra Mondiale), Paul Hindemith concepisce il Ludus tonalis. Si tratta del suo monumento pianistico, un’opera fuori dal tempo che, senza alcuna paura, si propone di replicare in chiave moderna il modello del Clavicembalo ben temperato di Bach. È un’architettura maestosa (12 Fughe e 11 Interludi incorniciati da un Praeludium e da un Postludium) che dà corpo non solo alle idee estetiche del compositore, ma anche alle sue originali teorie tonali e armoniche. Ed è anche la prima esperienza capace di traslare nella contemporaneità il Clavicembalo ben temperato evidenziando pienamente la sua straordinaria funzione di riferimento non solo per la tecnica compositiva, ma anche per il pensiero musicale. A farci luce su questo mondo tanto complesso quanto affascinante, sarà la sublime arte interpretativa di Sviatoslav Richter.
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Rubinstejn, Reger, Enescu, Roussel e Ravel sono i protagonisti di questa seconda puntata di miscellanea del ciclo. Ancor più a volo d’uccello della precedente, questa trasmissione trascorre fra il rispetto della tradizione e le iniezioni di modernità. Fra la creazione di una nuova civiltà (la Russia di Anton Rubinstejn) e la conferma della storia (la Germania di Max Reger). Fra la multiformità del contemporaneo (George Enescu e Albert Roussel) e l’elevazione alla “classicità” perfetta e intangibile (Maurice Ravel).
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Liszt, Franck e Saint-Saëns sono i protagonisti della prima di due trasmissioni non monografiche che percorrono, con sguardo sintetico, le vicende della forma “preludio e fuga” nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi anni del XX secolo. Una fase che segnò profondamente la storia della musica europea, caratterizzata, anche nel ristretto ambito di cui questo ciclo si occupa, da profonde e significative trasformazioni. L’alfiere del nuovo fu, come spesso accadde, Franz Liszt che riuscì a rendere fluida e ciclica anche questa forma apparentemente un po’ “imbalsamata”. Sulle sue orme si mossero figure straordinarie. Una di queste è Cesar Franck, non a caso legato anche alla pratica organistica. Un’altra è quella di Camille Saint-Saëns, impegnato a difendere con straordinaria maestria il solco della tradizione.
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Con questa trasmissione su Carl Czerny si entra in un mondo parallelo rispetto a quello attraversato nelle trasmissioni precedenti con Mozart, Mendelssohn e Chopin. Si tratta del mondo dell’artigianato, della sapienza, della sistematicità. Un mondo che tanta parte ha avuto (e ancora ha) nella storia e nella fortuna del linguaggio contrappuntistico, quello utilizzato in una Fuga. Czerny è un campione di tecnica pianistica, di cui ha affrontato tutti gli aspetti allora conosciuti. Non poteva dunque sfuggirgli la forma del Preludio e Fuga, che affrontò in più di un’occasione. Lo testimonia la raccolta Il pianista nello stile classico op. 856, composta nel 1857, anno della sua morte. Il ciclo, che comprende 24 Preludi e Fughe basati su tutte le tonalità, è un ammirevole campionario delle tecniche strumentali e compositive allora in uso e un vero tour de force esecutivo per chi si avventuri ad affrontarlo. Lo ha fatto, registrandolo per la prima volta, il giovane pianista Emanuele Delucchi. Noi useremo la sua arte per attraversare un mondo musicale certo sconosciuto ai più.
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Il legame che unisce i 24 preludi op. 28 di Fryderyk Chopin con Il Clavicembalo ben temperato di Bach è forse poco evidente a chi ascolta superficialmente il capolavoro chopiniano. In compenso, aldilà delle enormi differenze stilistiche e formali, è invece molto chiaro a chi ne approfondisce un po’ la storia e il linguaggio e soprattutto a chi ha la fortuna di poterlo suonare con le proprie mani. Chopin considerava il lavoro sull’opera bachiana pane quotidiano per sé e per i propri allievi pianisti. Ma è fuor di dubbio che anche come compositore trovasse in quel testo un irraggiungibile modello di pensiero e di metodo.La trasmissione si avvale, per l’ascolto dei Preludi chopiniani, della storica interpretazione di Maurizio Pollini.
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A Felix Mendelssohn Bartoldy si deve, come tutte le storie della musica raccontano, la riscoperta “ufficiale” di Bach nel 1829, quasi ottant’anni dopo la morte del maestro. Nell’intensissima, poliedrica e purtroppo assai breve vita del compositore, questa “missione” occupò sempre un posto centrale. Lo dimostra anche la bellissima raccolta di 6 Preludi e Fughe op. 35 per pianoforte composta nel 1837 (alla quale nello stesso anno si affianca quella di 3 Preludi e Fughe op. 37 per organo). Essa rappresenta un vero e proprio monumento all’eredità di Bach, oltretutto realizzato con una forma – il Preludio e Fuga – che all’epoca sul pianoforte era quasi del tutto negletta e quindi rappresentava una scelta ancora più forte sul piano simbolico. Durante la trasmissione i 6 Preludi e Fughe op. 35 sono ascoltati integralmente nell’esecuzione del pianista Howard Shelley.
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Il primo vero studioso e cultore dell’eredità di Johann Sebastian Bach fu Mozart. Uno studio adulto ma accanito, che cominciò nel 1781, grazie all’incontro con il barone Gottfried van Swieten e la sua ricca biblioteca di manoscritti bachiani ed haendeliani. Questo appassionato approfondimento sfociò innanzitutto in una serie di esemplari trascrizioni, delle sole fughe, per trio o quartetto d’archi. Fu questa esperienza ad alimentare e a coltivare, più tardi, il meraviglioso linguaggio compositivo dell’ultimo Mozart. Troviamo una serie di omaggi espliciti a Bach come il Finale (Molto allegro) della Sinfonia ‘Jupiter’, il Flauto magico e il Requiem.La puntata offre molti ascolti a testimonianza di queste diverse fasi, avvalendosi di prestigiose interpretazioni.