Afleveringen
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Fra maltempo e polemiche tra i politici, la riapertura di bar e ristoranti non avviene nel migliore dei modi. È vero che si potrebbe traslare il detto “sposa bagnata, sposa fortunata…”, ma in questo momento terribile, con molte imprese ormai in ginocchio, e tante che hanno gettato la spugna, ci saremmo aspettati un clima ben più sereno e all’insegna di certezze. E invece, anche stavolta, la politica ci sa dare solo il peggio di se stessa, incapace di prendere decisioni chiare e tirata per la giacca dalla burocrazia, dai tecnici o dalla demagogia.Dalla gestione del coprifuoco ai consumi vietati al bancone, è purtroppo tutto un rincorrersi di polemiche, smentite e prese di posizione che lasciano stupiti. Sembrano discorsi fra marziani, oppure litigi fra giocatori di Risiko che considerano i pubblici esercizi come pedine o territori da conquistare a Risiko.Perché distruggere la poca speranza che si sta ritrovando?È ben vero che la situazione è ancora più che complicata e qualunque cosa si decida si rischia di sbagliare, ma un po’ di chiarezza e unità d’intenti non guasterebbe. Certo serve prudenza perché fra morti, contagi e ricoveri in ospedale siamo ai livelli di novembre (quando si decise di chiudere, non certo di allentare i vincoli...). Ma è anche vero che andiamo verso la bella stagione e giorno dopo giorno cresce il numero dei vaccinati. Insomma, se si comincia a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel, perché rovinarci anche quel minimo di speranza che possiamo ritrovare?In gioco non c’è solo il futuro di decine di migliaia di aziende e di centinaia di migliaia di famiglie che in molti casi sono alla disperazione. C’è in ballo un mondo di attività e professionalità che rappresenta, più di ogni altra realtà, lo spirito dello stile di vita italiano. I nostri bar, i ristoranti, le pizzerie o le pasticcerie non sono solo “locali”, sono il simbolo di una nostra cultura antica dell’accoglienza e del vivere “bene”. Sono i terminali della filiera agroalimentare di qualità, i custodi delle nostre tradizioni famigliari o di comunità, i simboli di territori, arte e paesaggio. E insieme agli hotel sono l’esercito di quel turismo che da solo è la più importante “industria” del nostro Paese.Questo mondo però, come andiamo denunciando da anni, non ha un referente istituzionale. Le sue competenze sono frazionate fra troppi ministeri e amministrazioni regionali, ognuno dei quali pensa più ai divieti o alle sanzioni che non a fare funzionare meglio il comparto. Ne abbiamo avuta la dimostrazione esplicita in questi giorni: oltre ad uno scontro politico fra destra e sinistra su come e quando allentare i vincoli, abbiamo assistito all’esplosione del caos più totale, senza che ci fosse una sola sede in cui definire regole e protocolli. Nessuno si è preso questa responsabilità, nemmeno il ministro del Turismo, la cui nomina aveva acceso tante speranze. Ed ecco che i partiti sguazzano in questa palude, in questa terra di nessuno...E comunque all’interno i clienti non dovrebbero proprio poter entrare fino al 1° giugno. Che senso avrebbe altrimenti la circolare del ministero degli Interni che vieta ai bar che non hanno dehors di servire al bancone, anche se pochi clienti, distanziati, per evitare che si ammassino sul marciapiede? E ciò ovviamente vale anche per chi ha lo spazio aperto, ma magari piove. E ancora più sconcertante è che non si può servire al bancone nemmeno all’aperto. Sarà curioso capire come potranno lavorare adesso i bar di piscine o stabilimenti balneari... E soprattutto, chi controllerà se lì si rispetta la circolare del Viminale?Ma nonostante queste aberrazioni ai politici piace litigare sul coprifuoco (in vigore tuttora anche a Londra...). E qui la politica sembra dare il peggio di sé. Salvini e Letta si invitano reciprocamente ad uscire dal governo (quasi che “riaprire” sia obiettivo di destra o di sinistra, assurdo!). La ministra Gelmini dice che per il Governo le 22 sarebbero da intendersi come l’ora limite in cui lasciare un locale con la ricevuta che lo comprova, e poi da lì andare a casa. Il Comune di Roma per parte sua fissa in 15 minuti la tolleranza dopo le 22 per farsi trovare in strada. Come dire, armatevi di Google Maps e programmate quando lasciare la forchetta per correre a casa... Tentativi all’italiana subito stroncarti però dal solito ministero degli Interni (che non ha personale, né vuole rogne con i cittadini da controllare) che fissa irrevocabilmente l’inizio del coprifuoco alle 22, salvo che per i lavoratori di bar e ristoranti che devono avere il tempo di finire di sistemare il locale. E chissà che non nascano ora autocertificazioni farlocche per attestare che un giovane avvocato, che magari si era fatto per primo il vaccino, dichiari di essere un lavapiatti... -
Zijn er afleveringen die ontbreken?
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Queste settimane saranno centrali per il salvataggio del turismo estivo. L’aumento delle vaccinazioni e il decrescere dei contagi ridurranno progressivamente le restrizioni per permettere a bar, ristoranti e hotel di riorganizzare il loro lavoro.Da mesi c’è il tam-tam costante di chi, sfidando la logica, pronuncia il mantra del “riaprire” come fosse la parola magica con cui tornare alla “normalità”. Ma con buona pace dei politici o dei nuovi capipopolo che pensano basti urlare in piazza, se si apriranno le porte di ristoranti, palestre o teatri, non sarà certo per queste “pressioni”, ma perché lo permetteranno la scienza e il senso di responsabilità dei gestori.Non c’è nessun “apriti Sesamo”, né alcun genio della lampada che possa cambiare la situazione. Anzi, il “riaprire”, è un termine forse sbagliato. Almeno per un po’ non ci sarà alcun ritorno alla normalità. Finché il covid non sarà sconfitto in tutto il mondo, non saremo al sicuro. Potremo vivere certamente “più sicuri” di oggi, ma pensare che si possa tornare agli abbracci, alle resse di un tempo o ai locali sovraffollati sarebbe un’illusione che rischieremmo di pagare amaramente.Tutti vogliamo tornare a viaggiare, cenare al ristorante, prendere un aperitivo o dedicarci al tempo libero. Ma, lo ripetiamo, per un po’ di tempo nulla potrà essere come prima. E ciò vale anche per i pubblici esercizi, che hanno pagato il prezzo più alto di questa crisi. Per molti di quelli che sono sopravvissuti alla moria di chiusure e fallimenti non potrà essere un ritorno al tempo ante covid. Non ci sarà una semplice “riapertura”. Ci sarà invece una sorta di rifondazione di ogni locale per il dopo covid. Come nel Rinascimento dopo la peste erano cambiate molte cose, così avremo nuovi modelli.Dall’inizio della pandemia abbiamo illustrato tutti i cambiamenti che ci sarebbero stati. L’asporto e la delivery non potranno certo essere abbandonati. Né i nuovi sistemi di prenotazione o le relazioni online con i clienti. Le igienizzazioni e i distanziamenti dovranno tutti essere confermati e anzi rafforzati. Ci saranno nuovi menu nati dalla ricerca di questi mesi per valorizzare sempre più territorio e produzioni di qualità, all’insegna della tracciabilità e della sicurezza. Cambieranno i ricarichi sul vino e la sala avrà più peso vista la possibilità di dare più attenzione e servizio ai clienti che, ripetiamo, inizialmente saranno meno che in passato. Ci sarà l’impatto di nuove catene di fast food e lo sviluppo delle dark kitchen, da controllare per evitare rischi di massificazione e impoverimento della nostra cucina.Insomma, escluso un semplice “riaprire”, in molti casi ci saranno vere e proprie “nuove aperture” negli stessi locali e con lo stesso personale. Ciò che resterà intatto, ne siamo certi, sarà il desiderio di fare questo lavoro e valorizzare le Cucine italiane e la filiera agroalimentare. Sarà un Rinascimento del nostro turismo. Ed è a ciò che bisogna puntare con fiducia e ottimismo, resistendo nell’ultimo miglio senza cedere a scoramento o rabbia, utili solo a criminali o ai professionisti della demagogia.Ma sopra ogni cosa, non ci stancheremo di ricordarlo, oggi ciò che conta davvero non sono gli aiuti dei “Sostegni”, pure fondamentali, ma avere la volontà di vincere le nuove sfide con obiettivi e progetti chiari. E magari con locali covid-free. Le sciocchezze sulle “isole” più o meno grandi lasciamole a chi non conosce la geografia o la realtà del nostro turismo. -
E ora il Regno Unito vara il provvedimento forse più rivoluzionario per uscire il più in fretta possibile dai vincoli imposti dalla pandemia: controllo coi tamponi gratis per tutti. Giusto ciò che Italia a Tavola sta proponendo finora inascoltata per garantire le vacanze estive in sicurezza e la riapertura di ristoranti, palestre e teatri.Alla faccia di negazionisti e no-vax, e cancellando definitivamente ogni stupidaggine sull’immunità di gregge da raggiungere “naturalmente” (iniziale progetto di un po’ tutti i sovranisti), Londra accelera sul ritorno ad una "quasi" normalità. Fra una settimana si allenterà il lockdown e si riapriranno parrucchieri e pub. In vista di questo appuntamento storico (mentre decessi e ricoveri in ospedale sono crollati ai minimi storici grazie al successo della campagna vaccinale) da venerdì 9 sarà attivata l’operazione “tamponi gratis” due volte a settimana per tutti i cittadini in Inghilterra. Una decisione presa in tempi brevissimi e senza le assurde liturgie italiane che avrebbero comportato passaggi fra Governo, Regioni, Cts, Parlamento, protezione civile e sindacati…Lo ha annunciato il governo britannico in una nota, precisando che in aggiunta alle scuole ed ai posti di lavoro in futuro saranno allestiti nuovi centri per condurre i test rapidi anticovid. Chiunque potrà essere sottoposto a tampone, con il risultato atteso in 30 minuti, anche in assenza di sintomi. «Mentre continuiamo a fare buoni progressi nel nostro programma di vaccinazione e procede la roadmap per allentare cautamente le restrizioni, test rapidi regolari sono anche più importanti per assicurare che i nostri sforzi non vadano sprecati», ha commentato il premier Boris Johnson. Non si parla dei prossimi allentamenti, ma è sicuro che i pubblici esercizi e i locali di intrattenimento e tempo libero saranno i primi ad essere beneficiati da questi pass. Anche perchè il personale, se non ancora vaccinato, potrà fare i test e quindi garantire anche ai clienti la certezza di stare in locali covid-free. E tutto sarà certificato, probabilmente anche con un'app, che magari potrebbe essere utilizzata (aggiungiamo noi) anche per viaggiare sui mezzi pubblici come si fa in Cina o in Corea.In Gran Bretagna sono state somministrate finora 37 milioni di dosi di vaccino anti-Covid. In tutto le prime dosi sono 31,5 milioni mentre sono 5,4 milioni le seconde dosi. Metà della popolazione è praticamente vaccinata e, come detto, i risultati si vedono e con il tampone gratis sarà ora possibile procedere speditamente verso la realizzazione di locali e aree covid free e dare il via alle certificazioni e al passaporto vaccinale per accedere praticamente ovunque in sicurezza.Il tampone gratuito è uno strumento formidabile, non ci stancheremo certo di ricordarlo, per permettere di garantire locali covid-free senza creare alcuna discriminazione nei confronti di quanti non hanno ancora fatto il vaccino (giovani) o non lo possono fare (immunodrepressi o con patologie e allergie gravi). Ed è anche un modo per non escludere o emarginare quanti non vogliono vaccinarsi per paura o pregiudizio. Certo per la comunità è un investimento importante, ma sempre più sopportabile che avere terapie intensive al collasso per saturazione dei posti letto e tassi di mortalità alle stelle.E gli inglesi, con pragmatismo, badando al risultato più utile hanno scelto con decisione di aggiungere i tamponi gratuiti alla campagna vaccinale fatta senza risparmio di risorse. C’è da sperare che Draghi, certamente il più serio e pragmatico premier degli ultimi anni, sappia prendere esempio da questa decisione e, invece che mediare fra le baruffe da cortile fra Salvini e Speranza, scelga di fare tamponi gratuiti a tappeto per compensare il ritardo dei vaccini. E su queste basi permetta di riaprire ristoranti, bar, teatri e palestre.Il tutto ben sapendo che oltre ai no-vax ci sono anche i contrari ai test di massa. Se ne è già accorto anche Boris Johnson visto che anche a Londra c’è chi si oppone, come in Italia, ai tamponi gratuiti. E ovviamente ce ne saranno tanti anche in Italia... È il caso ad esempio di Allyson Pollock, professoressa di salute pubblica all'università di Newcastle, secondo la quale i test di massa sarebbero una «scandalosa perdita di denaro. Quando il tasso di infezione Covid scende così tanto come ora, è probabile che una percentuale crescente di casi siano falsi positivi, il che significa si autoisoleranno inutilmente». Magari ha anche ragione, ma vuoi mettere poter tornare al bar, al ristorante o al cinema in sicurezza o conteggiare al contrario ogni giorno i morti e i bollettini disastrosi degli ospedali? -
Come non essere d’accordo col Governatore siciliano che aveva accusato i magistrati di avere ricattato tutta Italia minacciando lo stop ai processi se non fossero stati vaccinati prima di tutti… Per fortuna, le toghe si sono poi scusate e la polemica è rientrata, ma fino a quando? E Musumeci può davvero parlare dopo che la sua Regione ha imbrogliato sui dati di contagiati per non esser messa in zona rossa? Dal fronte opposto ci sono invece i cardiologi di un ospedale in Puglia che non vogliono vaccinarsi e il personale no-vax di una Rsa in Lazio che ha infettato tutti gli anziani assistiti. E intanto, in questo Paese schizofrenico chi vuole essere corretto e magari si fa un tampone per poter prendere un aereo “in sicurezza” per tutelare gli altri, deve spendere fino a 100 euro. Credo ce ne sia abbastanza per porci il dubbio di come si possa pensare ad una vita quasi normale, riaprire i ristoranti o fare ripartire quanto prima il turismo.Ci sono obiettivamente troppe cose che non vanno e non è che il perdurare delle polemiche fra Regioni e Governo, o fra i partiti, su divieti o zone colorate possa offrire agli italiani motivi di ottimismo. E meno male che un bel segnale lo ha dato il premier Draghi, vaccinandosi (era il suo turno) con AstraZeneca e chiudendo così tante altre inutili e strumentali polemiche.I politici fanno a gara per riaprire, ma alla fine si può andare solo all’estero (!)La verità è che tutti vorrebbero riaprire. A parte forse gli oltranzisti di Leu schierati per ragioni di partito col Ministro Speranza. In Italia c’è una gara a chi grida più forte: in pochi hanno idee precise su come fare, ma straparlano (un vizio dei populisti e dei sovranisti che si sentono dotati di poteri magici), mentre i più “rinviano” sperando nel caldo estivo. E intanto però, mentre pubblici esercizi e hotel restano chiusi o vuoti, abbassiamo le difese e concediamo di andare all’estero, nonostante in Italia anche dopo il 6 aprile sarà vietato spostarsi fra le Regioni. Ovvio che in questa situazione il settore del turismo e dell’ospitalità, fermo da mesi, sia insorto con parole di fuoco, giustamente, contro la classe politica, ottenendo il tardivo risultato di obbligare, giustamente, chi rientra a farsi un tampone.Non c’è turismo senza i giovani: i tamponi sono carissimiGià, quasi che i tamponi siano la risoluzione di tutto. Non abbiamo certo neanche noi la bacchetta magica di Merlino o di Harry Potter, ma alcune cose potrebbero essere facilmente risolvibili usando un po’ di buon senso. Se vogliamo far ripartire il turismo bisogna ad esempio che “tutti” si sentano sicuri. In attesa che le vaccinazioni partano sul serio per tutti (con magistrati, politici e giornalisti ovviamente in fila come tutti in base all’età o alle eventuali patologie), ogni speranza è riposta sul passaporto vaccinale europeo che si spera entri in vigore da metà giugno. Una soluzione che per primi abbiamo lanciato in Italia. Ma ai tanti, soprattutto giovani, che non potranno aver fatto ancora il vaccino, chi ci pensa?Se uno non sarà vaccinato, per utilizzare la green card dovrebbe avere almeno test negativi recenti. Ma siamo sicuri che questo si possa fare? Già oggi, se devi prendere un aereo, il medico in genere non ti prescrive un tampone e, in base alla regione (chissà perché?), si paga dai 70 ai 100 euro. Se poi hai la sfiga di essere asintomatico, ma di risultare positivo, non puoi partire e la compagnia aerea (che richiede tampone fatto entro 48 ore) ti dice che non rimborsa il biglietto aereo (Ryanair su tutte) perché non lo hai chiesto entro 48 dalla partenza.Test più facili per chi non è vaccinato anche per poter andare al ristorante e in albergoPossiamo dire che è uno schifo? Possiamo dire che così chi è corretto è portato a cercare scappatoie, come magari fare un test rapido se dovesse atterrare in Sardegna, salvo avere nel frattempo sicuramente infettato qualcuno in aereo e a terra? E che dire di chi prende il treno o un bus? E se la persona in questione è un giovane che ha magari pochi soldi? Non è il caso di investire in un sistema di tamponi magari gratuiti per chi viaggia in Italia finché non saremo tutti vaccinati? In fondo è anche quello che chiedono molti ristoratori per poter riaprire in sicurezza… E gli albergatori italiani lanciano intanto l'offerta di test rapidi per tutti gli ospiti. Una proposta pratica che, speriamo, il Governo possa considerare per alleggerire le misure restrittive. -
I conti sono presto fatti, e la Fipe li ha messi sul tavolo del confronto, sempre più difficile, con Governo e Regioni. Se un ristorante “tipo” in Italia nel 2019 aveva fatturato 550mila euro (che è poi la media delle dichiarazioni dei redditi del settore), ad andare bene bene l’anno scorso ha perso almeno il 30% del fatturato (la soglia indicata nel decreto Sostegni). Pur scontando che il personale dovrebbe avere ricevuto la cassa integrazione, e pur avendo goduto di qualche migliaio di euro fra i “ristori” e gli aiuti per gli affitti, ora con il decreto Sostegni dovrebbe beneficiare di un contributo una tantum di 5.500 euro. Davvero una miseria per fare fronte ai costi fissi che gravano sul locale. E non è andata certo meglio ad un bar che, sempre per un locale tipo, poteva avere un ricavo annuo nel 2019 di 150mila euro, mentre ora avrà un bonus di 1.875 euro, il 4,7% della perdita media mensile.È evidente a tutti che questi “aiuti” non possono certo bastare e servono stanziamenti ben più importanti. Anche perché pur con un locale chiuso per decreto i tributi, tipo quelli sui rifiuti, vanno pagati comunque. E da come è cominciato l’anno (prima le chiusure di Capodanno, poi per le vacanze invernali e ora per Pasqua) c’è poco da stare allegri e da sperare in una qualche ripresa spontanea del mercato. Per il turismo e la ristorazione c’è proprio poco per essere ottimisti. Ad aprile ci saranno altri stanziamenti con un altro decreto, ma alla fine sarà sempre un modo di distribuire un po' di cerotti senza curare le ferite vere, che richiedono interventi radicali e riforme efficaci per mettere in sicurezza un comparto strategico per tutto il Paese. Servono investimenti, ma anche idee. I primi si possono recuperare, ma per averli servono davvero progetti seri.Stoppani: serve un progetto per il futuroPurtroppo, come ha ricordato amaramente anche il presidente della Fipe, Lino Stoppani, la coperta è corta… ma ciò non significa che si debbano accettare le briciole o pensare di continuare a vivere giorno per giorno sperando magari in illusori cambi di colore, devastanti sul piano psicologico quanto su quello gestionale. La situazione è drammatica e sottoscriviamo in pieno quanto ha detto il leader dei pubblici esercizi: «bisogna uscire immediatamente dall’ottica di breve periodo e mettere in piedi un piano di ripartenza che garantisca il diritto al lavoro e non sottoscriva semplicemente il dovere di stare chiusi. Serve un progetto che dia una prospettiva di futuro reale alle imprese e non solo un sostegno temporaneo, che appare oggi una fragile stampella».E proprio perché le stampelle non sono utili a nessuno, occorre fare alcune considerazioni una volta per tutte. Un anno e passa di lockdown più o meno annacquati (e in verità anche più leggeri di quanto non facciano in Germania dove le chiusure continueranno per tutto aprile) ha colpito a morte un comparto che ha già lasciato sul campo quasi un locale su dieci. Fra chi è fallito e chi non ha aperto, la lista coinvolge tutta Italia e solo la chiusura di tante vetrine di ogni tipo impedisce di capire fino in fondo l’entità di questa carneficina. E alla riapertura auspicata per dopo Pasqua ci saranno tante altre saracinesche che resteranno abbassate.Rafforzare le aziende saneIl problema vero è che la pandemia ha colpito indifferentemente le aziende sane e quelle più fragili, così come sta facendo oggi con le persone. E anche quando i contagi saranno finiti, il Covid continuerà a mietere vittime. Per questo da tempo insistiamo sul fatto che servono piani di investimenti e nuove regole per rafforzare le aziende sane, farle crescere per dimensione e attività. Ma qui servono scelte chiare da parte della politica. Avere ad esempio escluso dai sostegni le aziende con più di 10 milioni di fatturato è una follia, tanto più che in queste condizioni ci sono magari società che gestiscono più locali, ma sotto un'unica ragione sociale. Questa logica miope del “piccolo è bello” penalizza aziende famigliari più imprenditoriali che hanno fatto scelte di sviluppo, mentre premia con contribuiti a pioggia i locali in franchising di grandi catene… -
Non solo la Grecia con le sue isole covid-free. Grazie alla vaccinazione di massa fatta in tempi record, anche Israele sta diventando una delle mete più interessanti per un turismo che più che mai vuole puntare sulla sicurezza. Sono pronte quindi campagne promozionali per aggiungere nuovi viaggiatori rispetto ai flussi tradizionali di tipo religioso, o più innovativi come quelli sportivi o gay-friendly. Ma più in generale è tutta la mappa europea e mediterranea del turismo a prepararsi allo sconvolgimento generato dalla pandemia.Un dato per tutti: la Germania che ha sorpassato l’anno scorso l’Italia, classificandosi come la principale destinazione turistica del vecchio continente. Noi siamo scesi ad appena 203 milioni di pernottamenti per effetto del crollo del 53%, mentre le notti in Germania sono state 261 milioni (-40%) e 144 milioni di Spagna che con un -69% si è piazzata al terzo posto.A pesare sul drammatico crollo delle presenze in Italia è stata ovviamente la mancanza di turisti stranieri, con un calo del 70% dei pernottamenti dei non residenti, a fronte di un calo del turismo domestico del 36%. Un’assenza che ha determinato la crisi da profondo rosso di tutto il sistema turistico anche perché ha riguardato la fascia di clientela a più alta capacità di spesa. Con ricadute su tutto il sistema economico, visto che ad andare in default, oltre ad hotel e ristoranti, è stata tutta la fascia del commercio di lusso, concentrato in particolare nelle città d’arte che sono state le più colpite. Alberghi e ristoranti hanno avuto un calo in media del 40%, mentre le spese per ricreazione e cultura sono scese del 23%.Ora neanche Pasqua potrà dare una boccata d’ossigeno e ogni speranza è più che mai rimandata all’estate, sempre che la campagna vaccinale prosegua nonostante il “caso” AstraZeneca. Ma è evidente che una qualche ripresa potrà esserci solo se ci saranno condizioni minime di sicurezza. Da tempo insistiamo sulla necessità che l’Europa vari al più presto un green pass, un passaporto vaccinale, per salvare le vacanze degli italiani e quelle degli stranieri in Italia. Bisogna che con urgenza si consenta agli europei di muoversi in sicurezza all’interno o all’esterno dell’Ue, per lavoro o turismo. Ne va anche della tenuta del sistema agroalimentare nel suo complesso visto che un terzo delle spese durante le ferie riguardano proprio il cibo, soprattutto pranzi e cene al ristorante.Ma in attesa dell’estate, e magari approfittando di questo lockdown che di fatto ci blocca in casa o nei luoghi di lavoro, è assolutamente necessario porre mano a norme che regolino da un lato i luoghi “covid-free” (evitando magari il classico fai da te regionale, come nel caso della Sardegna) e dall’altro possano garantire un minimo di libertà in più - anche di spesa - a chi, fortunatamente, è già vaccinato. Parliamo di almeno 7 milioni di persone a cui, dosi, permettendo, se ne potrebbero aggiungere 2-3 milioni a settimana. Perché il Cts non ha ancora indicato come si possono e devono comportare queste persone? Negli Stati Uniti sono già state date indicazioni per cui i vaccinati possono anche riunirsi fra loro al chiuso e, fatte salve le procedure di sicurezza, possono quindi anche andare al ristorante o a teatro. E per l’estate in tutti gli States le attività e il turismo saranno di nuovo in piedi.Perché noi restiamo in silenzio? Il comparto più martoriato da questa pandemia potrebbe con gradualità ripartire offrendo servizi a chi può accedervi. Non si tratterebbe di una discriminazione verso chi si deve ancora vaccinare, ma un modo per rimettere lentamente in moto una macchina che necessita anche di controlli. Già perché il silenzio di Governo e Regioni su questo tema è dovuto forse al fatto che hanno paura di non sapere fare con rigore i controlli nei locali, come purtroppo attestano i casi della movida selvaggia dei giorni scorsi.C’è ovviamente anche la questione centrale della messa in sicurezza del personale dei ristoranti, ad esempio. Ma anche su questo tema serve chiarezza. Al di là dell’obbligatorietà o meno, c’è una questione di opportunità: vogliamo salvare l’economia italiana e quindi, prioritariamente, il turismo oppure no? Se lo vogliamo fare è tempo di pensare che, dopo sanità e pubblica sicurezza, il mondo dell’accoglienza abbia una corsia prioritaria per i vaccini. Per garantire le ferie di tutti gli italiani (e poter ospitare gli stranieri) è meglio vaccinare prima camerieri e cuochi, piuttosto che gli avvocati o i giornalisti. -
Il ministero dell'Economia smentisce che il decreto Sostegni si basi sui fatturati dei mesi di gennaio e febbraio. Vince la richiesta della Fipe? Le associazioni chiedono parametri di aiuti in base alle chiusure, alla ridotta attività e poi al calo di fatturato, ma su base annua. Cassa integrazione fino a giugno -
A neanche due km c’è la costa turca, mentre Cipro è a un centinaio di km in linea d’aria. È la piccola isola di Kastellorizo, famosa per essere stata il set del film Mediterraneo di Gabriele Salvatores (premio Oscar 1992), ed ora prima comunità covid-free del Mediterraneo. Tutti i suoi abitanti hanno infatti ricevuto la seconda dose del vaccino Pfizer, nessuno escluso. Prende così consistenza, alla faccia dei negazionisti e no-vax di tutto il mondo, il progetto di Atene di puntare su un turismo covid-free, vaccinando in massa tutti gli abitanti delle località a vocazione turistica. A giorni saranno completati i progetti turistico-sanitari per molte delle 1500 isole greche, soprattutto di quelle più piccole, come appunto Kastellorizo che ha poche centinaia di abitanti.E proprio le isole, con meno abitanti e più possibilità di controllare i movimenti delle persone rispetto alla terraferma, sono state scelte non a caso come località principali per la prima e la seconda vaccinazione Pfizer a gennaio e febbraio di quest’anno. Il governo greco ha valutato con attenzione il rischio che i piccoli centri medici siano sopraffatti da gravi casi di Covid e quindi ha fatto una scelta di sicurezza della popolazione (che nelle piccole località isolane non hanno nemmeno ospedali raggiungibili facilmente) , ma ha anche giocato con determinazione la carta dei vaccini in vista della ripresa del turismo internazionale. Offrire zone «Covid Free» diventa uno straordinario valore aggiunto, motore di ripresa e di ricchezza. E in Grecia ciò equivale al 20% del Pil.Boom di prenotazioni dai turisti inglesi prossimi alla "libera uscita"Basti solo pensare che in Gran Bretagna, dopo che il premier Boris Johnson ha annunciato una possibile riapertura ai viaggi dopo il 17 maggio, c’è stato un boom del 630% delle prenotazioni al mare con la Spagna e la Grecia come mete preferite. Ovviamente perchè questa scelta stia in piedi è indispensabile che chi arriva nelle isole greche, come in altri luoghi covid-free (da realizzare auspicabilmente anche in Italia), sia vaccinato o abbia tamponi negativi recenti, altrimenti tutto rischierebbe di essere vanificato. E questo impone alcune riflessioni importanti su cosa fare in Italia. Nelle piccole isole si potrebbe seguire il modello greco, ma nel resto del Paese ci sono al momento troppi ostacoli.Il caso Sardegna e il problema dei controlliPensiamo ad esempio a come la Sardegna potrebbe avere enormi vantaggi dalla scelta di diventare anch’essa un "grande" isola covid-free. Ma per farlo occorre che tutta la popolazione sia vaccinata, il che essendo ai primi di marzo sembra abbastanza irrealistico, anche se è l’unica regione oggi in fascia bianca, a parte due enclave rosse.Ma poi c’è il problema dei controlli di chi arriva. Per chi arriva in aereo non ci sarebbero problemi. Più complicato, visto anche il caos creato l’anno scorso, sarebbe fare accertamenti agli imbarchi dei traghetti. Ma con un po’ di organizzazione lo si potrebbe anche fare. Il vero buco nero della sicurezza sarebbero però gli sbarchi dei “privati”. Fra yacht che attraccano in porto o restano in rada, c’è differenza e in ogni caso siamo sicuri che saremmo attrezzati per fare controlli 24 ore su 24? Non dimentichiamo che la seconda ondata della pandemia è partita proprio dalla Costa Smeralda dove c’erano molti vip sbarcati dalle loro imbarcazioni in totale assenza di controlli.Fondamentale il controllo di chi si muove o entra nei localiSta di fatto che la scelta della Grecia è più che lungimirante e tiene conto che il controllo dei movimenti è fondamentale. Una piccola isola è come se fosse naturalmente in lockdown e salvo pochi casi (pensiamo a Mikonos) non ha quasi mai rischi di assembramenti. Due condizioni che aumentano notevolmente i livelli di sicurezza e la conseguente immagine positiva che possono dare.Se poi dai territori si potesse trasferire questa esperienza positiva anche ai locali che accolgono turisti e non, per molti hotel e ristoranti sarebbe facile poter riaprire. E questo nonostante l’ostilità di negazionisti o no-vax (che ancora sabato “infettavano” piazza Duomo a Milano in un comizio vergognoso all’insegna del no-mascherina), nei mesi prossimi potrebbe diventare davvero l’elemento discriminante nell’offerta dei pubblici esercizi. -
Franceschini, ci sei o ci fai? Da mesi si cercava chi fosse nel Palazzo il vero nemico di ristoratori e baristi, chi nell’ombra avesse tramato per addossare a loro il falso ruolo di untori. Altro che inutili allarmismi dei virologi o il silenzio assordante del ministro della Salute Roberto Speranza o, peggio ancora, le bugie dell’ex premier Giuseppe Conte. Stavolta il ministro della Cultura ha finalmente gettato la maschera e ha svelato il suo vero volto: è lui il “killer” dei pubblici esercizi. Con abilità da politico della Prima Repubblica, Dario Franceschini era sempre riuscito a nascondere la mano dopo aver tirato il sasso. Né qualcuno avrebbe mai pensato di fare l’antica prova del guanto di paraffina al Ministro che quale titolare “anche” del Turismo avrebbe dovuto essere il difensore d’ufficio del mondo dell’accoglienza, e invece usava una P38 contro chi serve spritz o spaghetti al pomodoro.È bastato che nel nuovo Governo il Turismo prendesse una sua autonoma identità, con tanto di ministro ad hoc, perché Franceschini si liberasse del fardello che lo angustiava da sempre: per lui bar e ristoranti dovrebbero stare chiusi per sempre, o quasi, perché sarebbero luoghi pericolosi. E la confessione non l’ha fatta in Chiesa o in un gruppo ristretto di amici. L’ha dichiarato pubblicamente in un’intervista al Corriere della sera dove sembra che l’unica cosa che lo rassereni sia essersi liberato di questa zavorra che non avrebbe mai gradito: «In questi mesi - ha dichiarato - abbiamo capito che i luoghi più pericolosi sono quelli dove ti togli la mascherina: ristoranti, bar, case private». Questa la follia di un Ministro che senza una sola prova scientifica, anzi contro i pareri dello stesso Comitato tecnico scientifico, spara a zero nel mucchio senza che nessuno (Draghi dove sei?) lo richiami all’ordine.Una semplice riga in cui si mettono alla berlina le imprese che più di tutte hanno pagato prezzi altissimi e spesso senza ragione, nonostante le prove di serietà e sicurezza date in più occasioni. Un’operazione che sul piano sociale e culturale si può tranquillamente definire da criminalità politica. Ma perché queste idiozie non le ha dette quand’era anche ministro del Turismo? Quindi per Franceschini nelle zone gialle chi frequenta un pubblico esercizio è come se entrasse nella tana del mostro Covid... Peccato che non ci siano stati focolai accertati nei ristoranti, mentre episodi di contagi a catena ci sono stati in occasione di spettacoli, che pure per Franceschini sono invece “sicuri”. «Nei teatri e nei cinema - ha aggiunto nella sua delirante dichiarazione - già nella riapertura estiva, c’erano misure di sicurezza molto rigide che si sono rivelate efficienti: mascherina, distanziamento, igienizzazione delle mani, sanificazione dei locali».Ma il ministro della Cultura ha forse alzato il gomito? Non lo sa che i protocolli di sicurezza dei ristoranti prevedono le stesse cose (mascherina, distanziamento, igienizzazione delle mani, sanificazione dei locali) e anche di più? Se poi pensiamo che in un teatro o in cinema nessuno può controllare se per circa due ore al buio l’utente indossa o meno la mascherina, c’è da chiedersi come faccia a sedere al governo.In un altro Paese, dopo simili dichiarazioni ci sarebbero state sollevazioni di piazza e magari le dimissioni immediate dell’improvvido ministro. Ma siamo in Italia e concludiamo con l’amaro commento del direttore generale di Fipe, Robeto Calugi, secondo cui «lascia stupiti leggere queste dichiarazioni, in particolare da un Ministro della Repubblica. Se si applicano i protocolli previsti dal Comitato tecnico scientifico i ristoranti sono luoghi assolutamente sicuri. Basta ricordare che furono riaperti il 18 di maggio e non ci risulta che a giugno, a luglio o ad agosto ci furono impennate dell’epidemia. La ristorazione e i pubblici esercizi in generale meritano certamente maggior rispetto, dopo un anno drammatico come questo». E forse ha ragione Calugi, meglio fermarsi qui. Scrivere di più sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. -
Il ministro in scadenza del Governo Conte ha firmato i decreti per l’avvio anticipato di un giorno delle zone arancione nemmeno 4 ore prima della scadenza (facendo così annullare tutte le prenotazioni e le spese fatte dai ristoranti per il giorno di San Valentino) e lo stesso ministro, confermato nel Governo Draghi, ha firmato sempre con un anticipo di sole 4 ore il blocco delle stazioni sciistiche (annullando così tutte le prenotazioni di skipass e alberghi). In entrambi i casi la reazione delle imprese e dei cittadini è rabbia e delusione, anche perché sempre lo stesso ministro, che è poi Roberto Speranza, se ne è guardato bene dal dire una sola parola, preferendo mandare avanti i tecnici su cui si scaricano i fulmini dell’opinione pubblica e parlando genericamente dei soliti “ristori” con cui coprire le vergogne di una certa politica ondivaga e irresponsabile.Un comportamento che si è ripetuto anche col suo consulente numero uno, il professor Walter Ricciardi che ha allarmato mezza Italia parlando di un possibile lockdown immediato. E per fortuna che era domenica, altrimenti i mercati avrebbero salutato in ben altro modo l’avvio del Governo Draghi. Ma anche in questo caso Speranza è rimasto zitto. Così come era successo nei giorni scorsi quando aveva imposto al suo Cts di smentire in modo grossolano e patetico la decisione positiva già presa dallo stesso Comitato sulla possibilità di riaprire parzialmente la sera i ristoranti nelle zone gialle.Il guaio è che con queste decisioni all’ultimo momento e senza motivazioni vere, Speranza ha alimentato un risentimento che difficilmente potrà essere sanato, tanto da costituire un possibile vulnus per il Governo Draghi. E non è un caso che sui social si sia scatenato un polverone in cui, quando va bene, il ministro è tacciato di essere pregiudizialmente contrario alle piccole imprese o al mondo dell’accoglienza. Per parte nostra pensiamo che questo politico sia solo inadeguato al ruolo che svolge e che proprio in questa fase stia dimostrando tutta la debolezza di chi non ha autorevolezza. Pensiamo solo al piano vaccinale che ogni regione gestisce a modo suo e il Ministero conta meno del commissario Arcuri, altro personaggio di cui in tanti richiedono la sostituzione.E in mezzo resta il mondo dell’accoglienza e del turismo, che è stanco di una navigazione a vista fatta di illusioni, mezzi impegni e poi bastonate. Il compito di Draghi da questo punto di vista è davvero improbo, perché oltre a garantire risultati positivi dopo le perdite di tempo del governo Conte dovrà anche rimediare ai danni causati dai troppi tecnici che parlano senza prima confrontarsi con chi deve decidere o che, peggio, come nel caso della sanità, sono sollecitati dal ministro a intervenire su ogni cosa, per poi agevolargli il lavoro, certo non gradevole, di chi deve porre i limiti o i divieti con la scusa che lo chiedono gli esperti.I ristoranti, gli hotel, i bar e le pizzerie aspettano di poter riprendere a lavorare in sicurezza. Piaccia o non piaccia a Speranza. E se non si potrà fare subito, qualcuno lo deve spiegare con chiarezza e responsabilità. L’importante è finirla con gli allarmismi. Serve un cambio di passo. C’è un mondo pronto a ripartire con coraggio e che ha la fiducia dei consumatori. Lo dimostra l’incredibile successo del nostro sondaggio annuale sui Personaggi dell’anno che, nonostante i locali siano per lo più chiusi, ha confermato ancora una volta l’interesse e il consenso di centinaia di migliaia di italiani che sanno bene come la ripresa del Paese ci sarà solo quando ripartiranno i simboli del nostro stile di vita. Il ministro in scadenza del Governo Conte ha firmato i decreti per l’avvio anticipato di un giorno delle zone arancione nemmeno 4 ore prima della scadenza (facendo così annullare tutte le prenotazioni e le spese fatte dai ristoranti per il giorno di San Valentino) e lo stesso ministro, confermato nel Governo Draghi, ha firmato sempre con un anticipo di sole 4 ore il blocco delle stazioni sciistiche (annullando così tutte le prenotazioni di skipass e alberghi). In entrambi i casi la reazione delle imprese e dei cittadini è rabbia e delusione, anche perché sempre lo stesso ministro, che è poi Roberto Speranza, se ne è guardato bene dal dire una sola parola, preferendo mandare avanti i tecnici su cui si scaricano i fulmini dell’opinione pubblica e parlando genericamente dei soliti “ristori” con cui coprire le vergogne di una certa politica ondivaga e irresponsabile.Un comportamento che si è ripetuto anche col suo consulente numero uno, il professor Walter Ricciardi che ha allarmato mezza Italia parlando di un possibile lockdown immediato. E per fortuna che era domenica, altrimenti i mercati avrebbero salutato in ben altro modo l’avvio del Governo Draghi. Ma anche in questo caso Speranza è rimasto zitto. Così come era successo nei giorni scorsi quando aveva imposto al suo Cts di smentire in modo grossolano e patetico la decisione positiva già presa dallo stesso Comitato sulla possibilità di riaprire parzialmente la sera i ristoranti nelle zone gialle.Il guaio è che con queste decisioni all’ultimo momento e senza motivazioni vere, Speranza ha alimentato un risentimento che difficilmente potrà essere sanato, tanto da costituire un possibile vulnus per il Governo Draghi. E non è un caso che sui social si sia scatenato un polverone in cui, quando va bene, il ministro è tacciato di essere pregiudizialmente contrario alle piccole imprese o al mondo dell’accoglienza. Per parte nostra pensiamo che questo politico sia solo inadeguato al ruolo che svolge e che proprio in questa fase stia dimostrando tutta la debolezza di chi non ha autorevolezza. Pensiamo solo al piano vaccinale che ogni regione gestisce a modo suo e il Ministero conta meno del commissario Arcuri, altro personaggio di cui in tanti richiedono la sostituzione.E in mezzo resta il mondo dell’accoglienza e del turismo, che è stanco di una navigazione a vista fatta di illusioni, mezzi impegni e poi bastonate. Il compito di Draghi da questo punto di vista è davvero improbo, perché oltre a garantire risultati positivi dopo le perdite di tempo del governo Conte dovrà anche rimediare ai danni causati dai troppi tecnici che parlano senza prima confrontarsi con chi deve decidere o che, peggio, come nel caso della sanità, sono sollecitati dal ministro a intervenire su ogni cosa, per poi agevolargli il lavoro, certo non gradevole, di chi deve porre i limiti o i divieti con la scusa che lo chiedono gli esperti.I ristoranti, gli hotel, i bar e le pizzerie aspettano di poter riprendere a lavorare in sicurezza. Piaccia o non piaccia a Speranza. E se non si potrà fare subito, qualcuno lo deve spiegare con chiarezza e responsabilità. L’importante è finirla con gli allarmismi. Serve un cambio di passo. C’è un mondo pronto a ripartire con coraggio e che ha la fiducia dei consumatori. Lo dimostra l’incredibile successo del nostro sondaggio annuale sui Personaggi dell’anno che, nonostante i locali siano per lo più chiusi, ha confermato ancora una volta l’interesse e il consenso di centinaia di migliaia di italiani che sanno bene come la ripresa del Paese ci sarà solo quando ripartiranno i simboli del nostro stile di vita. -
Quale crescita economica vogliamo per i prossimi anni? E che ruolo potrà avere il turismo? Queste le domande che da mesi si pongono le migliaia di imprese del settore che, dai bar agli hotel, dai ristoranti ai grossisti, dai produttori alle agenzie di viaggio, più di tutti hanno pagato il prezzo di una crisi che rischia di diventare una catastrofe di fronte alle decine di miliardi di fatturato perso, alle migliaia di aziende già chiuse e a quelle che possono non riaprire lasciando senza lavoro un numero oggi incalcolabile di addetti.Per mesi i ristori o arrivavano tardi o erano insufficienti, e tutto veniva rinviato in maniera quasi miracolista al Recovery Plan, occasione storica per riorganizzare uno Stato che fra sanità, giustizia, scuola, ricerca ed ambiente è assolutamente inadeguato. Ma le scelte fatte dal Governo Conte non erano soddisfacenti, al punto che è andato in crisi con la soddisfazione di non pochi ristoratori o albergatori che lamentavano, fra le altre cose, un’esclusione dagli investimenti previsti proprio nei nuovi progetti da realizzare grazie ai maxi prestiti europei.Ora ci si aspetta soluzioni che non possono più essere il frutto di mediazioni con incompetenti o inconcludenti. Servono scelte per creare ricchezza, eliminare i vincoli allo sviluppo e abbandonare l’assistenzialismo demagogico degli ultimi tempi. Usando il buon senso si capisce che non si può rinunciare al Turismo, uno dei cardini dello stile di vita italiano e dell’immagine dell’Italia nel mondo: i soldi pubblici servono per creare sviluppo e vanno quindi utilizzati anche per rendere competitivo e più efficiente anche il nostro giacimento di ricchezza. E non a caso uno dei pochi impegni sfuggiti di bocca al riservatissimo Draghi in questi giorni di consultazioni riguarda proprio il turismo, oltre ovviamente alla lotta alla pandemia e alla disoccupazione che grava sull'Italia come la peggiore minaccia sociale dei prossimi mesi.Del resto il pensiero dell'ex presidente della Bce è da tempo chiaro: i debiti si dividono fra buoni e cattivi. Fra quelli cioè che permetto di creare ricchezza, e quindi fare crescere le imprese e l'occupazione (soprattutto dei giovani), per avere poi le risorse per restituire i prestiti, e quelli per fini assistenzialistici improduttivi e senza valore (tipo la gestione del reddito di cittadinanza), che alla fine ci rendono più poveri e più indebitati. Come dire, secondo un detto molto usato in questi giorni, agli italiani andranno dati soldi per comprarsi canne da pesca, non per comprare del pesce.In questa prospettiva il turismo 4.0 è sicuramente un settore che può generare nuova ricchezza, ma ha assolutamente bisogno di rafforzare e valorizzare ristoranti e hotel, E questo obiettivo non può non essere ai primi posti dell'agenda di Mario Draghi. Parliamo di imprese che muovono circa un terzo dell’intero Pil nazionale e che in questo anno di pandemia hanno pagato costi altissimi nella quasi indifferenza delle istituzioni.Fra gli investimenti necessari ci sono almeno due macro aree che devono essere previste nei progetti del Recovery Plan, con benefici per tutto il Sistema Italia:- la revisione delle aree urbane e delle licenze- la digitalizzazione di tutte le imprese, dai ristoranti ai museiLa questione urbanistica è ovviamente la più complessa, ma è indispensabile se non si vuole abbandonare al degrado e all’impoverimento una gran parte dei centri storici italiani. Fra trasporti saturi, inquinamento e scelta di molte aziende di delocalizzare gli uffici o di proseguire con lo smart working, molti esercizi pubblici chiuderanno. Ciò pone il duplice obiettivo di riqualificare i locali commerciali lasciati liberi (che non possono essere occupati da attività marginali di extracomunitari) e di accompagnare l’insediamento di nuovi bar o ristoranti là dove si creeranno nuove domande di chi ha necessità dei servizi del “fuori casa”. Il tutto con nuove norme all’ingresso e un controllo dei requisiti di professionalità per avere le licenze.La digitalizzazione e i big data sono l’altro cardine che non può mancare nel Recovery Plan. Pensiamo solo al tema delle prenotazioni, dei pagamenti o della vendita e consegna dei prodotti (per lo più alimentari ed artigianali) che può essere fatta nei ristoranti, invece che negli alberghi o nei siti turistici. Per non parlare della gestione della delivery o della possibilità di offrire ospitalità durante la giornata anche a clienti che vogliono magari lavorare lontano dall’ufficio o da casa, invece che studiare o incontrare amici. -
È innegabile che essere in zona gialla garantisca qualche opportunità in più, ma siamo davvero sicuri che la riapertura di bar, ristoranti, pizzerie e agriturismi coincida con quella auspicata ripresa di attività? Fra l’essere chiusi per decreto e l’alzare le saracinesche per aspettare dei clienti che al momento non faranno a gara per pranzare fuori casa, cosa potrebbe convenire di più?Scontato che, anche solo per ragioni psicologiche, è meglio aprire e lottare sul campo che morire d’inedia, non si può non considerare che parliamo di un lavoro monco, concentrato negli orari meno produttivi (con gli impiegati in smartworking per molti locali sarebbe meglio restare chiusi), con molti costi fissi e poche ragionevoli possibilità di ripianarli.Pensiamo ai comuni a vocazione turistica dove tenere aperto un bar o un ristorante è come volersi fare del male. L’esempio di Firenze, da qualche giorno in zona gialla, è emblematico. Nel centro storico non c’è nessuno: 5 persone (cinque) in coda alla biglietteria degli Uffizi. Per il resto il deserto e poter mangiare in centro è davvero un’impresa: i locali aperti sono pochissimi e sconsolatamente vuoti. E ciò che stupisce è che fra i pochi aperti ci sono anche dei buchi dove, al di là del covid, una persona sana di mente non ci entrerebbe se non per prendere un pacchetto di sigarette e poi uscirsene in fretta.E non è che un locale aperto ma vuoto possa resistere molto: con gli esigui ristori che ci sono e col rischio di non poter attivare la cassa integrazione il futuro può essere nero per tutti.Poiché è impensabile che da istituzioni di fatto assenti rispetto ai problemi dei pubblici esercizi possano venire soluzioni geniali nel brevissimo periodo, né si può pensare che basti urlare di voler riaprire per riempiere i locali, occorre rivedere con decisione tutta la questione. Occorre mettere le aziende sane e sicure (due aggettivi usati non caso) nella condizione di potere riattivare un minimo di normalità. E ciò è possibile solo con la riapertura serale ed offrendo precise garanzie. In attesa che si possa giungere alla vaccinazione di tutti gli addetti, l’avere locali ampi con posti a sedere distanziati fissi e verificabili e la registrazione di tutti i clienti, potrebbe essere la carta da giocare, così come proposto da Fipe e Fiepet anche per le zone in giallo. Chi non ha cucina o posti a sedere potrebbe lavorare con le attuali limitazioni o restare chiuso ed essere aiutato.Sarebbe un modo per favorire chi ha le carte in regola per lavorare e cercare di mettere un po’ di ordine in quel “far west” creato dalla assurda liberalizzazione degli anni scorsi che ha portato ad un eccesso di locali, spesso piccoli e gestiti da persone senza preparazione. Se poi il futuro nuovo Governo metterà nel programma una nuova regolamentazione del comparto fissando criteri rigorosi per l’ingresso, meglio ancora. -
Continua la polemica sul calcolo dell’Rt (l’indice di contagio) della Lombardia, passata da zona rossa ad arancione. Dopo la rettifica fatta dalla Regione sui dati di dicembre (da cui sono emersi quasi 10mila guariti che risultavano ancora malati), il confronto assume inevitabilmente toni “politici” con continui botta e risposta fra Governo e Regione, ma anche tra Regione e Comuni. E intanto in mezzo ci sono i commercianti che hanno subito nuovi danni.Il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che già nei giorni precedenti aveva chiesto al presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana dei chiarimenti circa i dati inviati al Comitato tecnico scientifico, non ha risparmiato attacchi: «Buttare in rissa la questione sull'Rt lombardo certamente contribuisce a non far emergere la verità», si legge sul suo profilo Facebook. «Il sistema è collaudato, essendo in funzione da mesi, una sola Regione sostiene che l'algoritmo di compilazione ha una falla mentre per tutte le altre ha funzionato. Possibile che ci abbia visto giusto solo la nostra Regione?». E come già in passato, il Sindaco di Milano chiede alla Regione di potere vedere i dati trasmessi ricordando che il «calcolo dell'Rt è un fatto tecnico, non politico».Una richiesta che non è piaciuta al governatore Fontana (Lega) che ha risposto a Sala (Pd) di chiederlo al “suo” Governo. «Ci hanno chiesto di integrare i dati già inviati e non modificati con ulteriori specifiche che non fanno parte delle richieste standard - dice - e come per magia il rosso è diventato arancione se non giallo. A noi non è dato sapere di un algoritmo segreto che hanno e usano solo a Roma. Magari a lui rispondono».Affermazioni che, francamente, sembrano indegne di politici di fronte al dramma che tutti stiamo vivendo. L’algoritmo usato dall’Istituto superiore di Sanità e dal Cts è stato a suo tempo concordato e messo a punto con le Regioni e prevede 21 punti. È davvero possibile che nessuno in Regione Lombardia sappia come funziona l’algoritmo e che peso ha il numero dei malati? Soprattutto se questi malati risultano guariti ed è la Regione che lo comunica. E in aggiunta, sono mancati solo i dati della Lombardia o anche altre regioni sono, o sono state, in queste condizioni?Insomma, per farla breve… nei mesi scorsi questi famosi dati mancanti sulla condizione dei contagiati (guariti) ora rettificati per dicembre, erano calcolati nei report settimanali della Lombardia e di altre regioni, o no?Servono risposte chiareVorremmo una risposta chiara perché qualcuno mente ed ha torto. E non è una decisione del Tar (comunque tardiva) che risolverebbe la questione.Se mancavano anche in passato, e nessuno dal Governo lo ha mai fatto presente, tutto il sistema di calcolo delle zone colorate per le Regioni potrebbe risultare una buffonata. E a questo punto è forse il caso che il Ministro Speranza ne prenda atto, abbassi i toni e magari si dimetta.Se invece questa “mancanza” c’è stata solo in questo frangente ed è la Regione che non li ha inviati (magari con motivazioni anche giuste), allora è il Governatore Fontana che deve fare un passo indietro e, come già fatto dal suo ex assessore Gallera, lasciare il ponte di comando e con dignità chiedere scusa ai lombardi. Anche perché c’è pure chi sostiene (lo rilancia persino il Corriere della sera) che l’assenza dei dati è stata magari “voluta” per assecondare la volontà di Fontana che per non correre rischi l’11 gennaio chiedeva l’istituzione della zona rossa per non riaprire le scuole.A meno che, e questo sarebbe gravissimo, sia Fontana, sia Speranza sapevano che da sempre ci poteva essere questo problema in tutte le rilevazioni e le decisioni prese nei vari decreti. Se così fosse la partita non sarebbe patta - come propone Fontana - ma entrambi avrebbero perso. In verità a perdere sarebbe anche la credibilità delle istituzioni piegate ancora una volta a squallidi interessi di parte. Chi ci perde sono solo le imprese e i lavoratoriE intanto ricordiamo che in questo gioco al massacro ci sono decine di migliaia di imprese a rischio fallimento. Per non parlare di bar e ristoranti che in tutta questa vicenda continuano a sostenere il peso più grave di questi continui cambiamenti e di questa mancanza di unità fra Governo e Regioni. -
Per ogni manifestazione di piazza ci sono gli organizzatori che gonfiano il numero di partecipanti (a volte fino a 3-4 volte la capienza massima di una piazza) e poi c’è la Questura che ridimensiona. Ma al di là dei numeri, salvo che si tratti di un “vuoto”, ciò che conta è il problema, il tema della protesta. E questo è quanto è puntualmente accaduto nei giorni scorsi con l’apertura serale dei locali da parte di chi aderiva a #ioapro. Nata da un passaparola sui social, la protesta ha raggiunto un po’ tutta Italia e, al di là di quanti hanno rischiato multe o sospensioni dell’attività (poche in realtà), ha rappresentato un fortissimo segnale civile - anche se “illegale” a norma di codice civile - dell’esasperazione di una categoria che, insieme al mondo della cultura e del tempo libero, ha finora pagato il prezzo più alto dell’incapacità delle istituzioni di affrontare con rigore e serietà la pandemia. E i politici, salvo qualche tentativo di strumentalizzazione delle aperture serali, non hanno detto nulla. Non gli è sembrato vero di poter fare come lo struzzo e mettere la testa sotto la sabbia facendo finta di nulla. Stavolta l’occasione era la crisi di governo, ma è significativo che nessun Ministro, da Patuanelli a Speranza, abbia avvertito il dovere di dire qualcosa, fosse anche solo per contestare una protesta contro le norme sul contenimento dei contagi.Del resto per il Governo, senza nessuna prova scientifica, è sempre stato più facile chiudere bar e ristoranti che non affrontare il tema drammatico dei mancati interventi sul sistema dei trasporti pubblici, fra le principali cause dei contagi insieme all’iniziale rilassatezza sull’uso delle mascherine. In qualche Dpcm Conte è arrivato al punto di imbrogliare i cittadini rifacendosi ad inesistenti indicazioni degli scienziati, chiudendo i pubblici esercizi e cercando così di deviare l’attenzione dell’opinione pubblica dall’inconsistenza delle misure prese in un continuo barcamenarsi giorno per giorno, rinviando di fatto i problemi.Da quasi un anno a questa parte abbiamo assistito ad un gioco al massacro che non può essere giustificato col fatto che anche negli altri Paesi si sono chiusi bar e ristoranti. In pochi Paesi sono stati infatti adottati protocolli di sicurezza come quelli italiani, né vi è mai stato uno studio scientifico che dimostrasse la presenza di focolai nei locali. In Italia esisteva un problema legato alla movida e ai locali della notte troppo affollati. Ma questa situazione andava affrontata con rigore dall’inizio (senza riaprire ad esempio le discoteche) e facendo controlli a tappeto con sanzioni drastiche fino alla sospensione delle licenze. Ma per il lassismo delle nostre istituzioni e per l’evidente ricerca di un consenso elettorale (si votava a settembre), si è preferito dare un po’ di carote e poi bastonare tutti i pubblici esercizi.E che dire del sostanziale disinteresse della politica (di ogni colore) verso imprese per lo più piccole e famigliari, dove il “cassetto” non si riempiva di incassi ma solo di fatture, bollette e tasse da pagare. Fra queste, la cosa più scandalosa, anche quelle dei Comuni sulla raccolta rifiuti (fra le più alte d’Europa), pur essendo i locali impossibilitati a creare rifiuti perché chiusi per decreto. E qui poco cambia che le amministrazioni siano di destra o di sinistra… Aggiungiamo le banche che non si fidano delle garanzie dello Stato sui prestiti, i Ristori che arrivano col contagocce o la cassa integrazione che ancora oggi è in ritardo.C’è da stupirsi che finora i gestori e i dipendenti non abbiano fatto iniziative di protesta ben più decise. E in questa prospettiva #ioapro (di cui non condividiamo il metodo) potrebbe avere spalancato la porta a qualcosa di imprevedibile oggi. La rabbia e la delusione montano e se le istituzioni non interverranno in fretta c’è il rischio di nuove esplosioni che potrebbe sfociare anche in anarchia. Il senso di responsabilità finora dimostra dalle associazioni rappresentative di questo mondo (Fipe e Confesercenti in primis) potrebbe anche finire qui. Se decidessero di smettere il confronto duro e serrato che ha finora garantito quel minimo di ristori e cassa integrazione ottenuti, le istituzioni si troverebbero davvero senza rete e forse si porrebbe realmente un problema di tenuta sociale del Paese. Ma tutto ciò dipende solo dai politici che in questo momento stanno dimostrando il peggio di sé con questa assurda crisi di governo. -
Finalmente un segnale positivo: secondo Intesa Sanpaolo nelle regioni del Sud Italia ci sarà una forte ripresa del turismo, anche se per quest’anno sarà impossibile tornare ai livelli pre covid. E un segnale di conferma viene anche da un rapporto di Confimpresa sulle famiglie che per quasi la metà vogliono tornare a viaggiare (il 48,7%). Certo non è poca cosa passare dal baratro in cui siamo caduti a immaginare di tornare in positivo entro al massimo un paio d’anni. Ma serve uno scossone per risollevarci davvero. Una spinta importante, nel breve periodo, potrebbe ora venire dall’impegno del generale Figliuolo (che ha superato in questo tutti i politici...) di vaccinare prioritariamente gli addetti del turismo. Ma attenzione, senza riforme serie rischiamo di perdere il treno nel medio periodo: soprattutto al Sud servono una struttura sanitaria efficiente, idee e progetti, nonché imprese dell’accoglienza capaci di pensare in grande, anche come dimensione. Il tutto per puntare su una destagionalizzazione che allunghi il periodo delle vacanze-ferie.Torna il desiderio di viaggiareA evidenziare uno scenario finalmente positivo (e che vale per hotel ristoranti, bar, agriturismi e accoglienza in genere) è fra gli altri osservatori Srm, la società di studi e ricerche sul Mediterraneo di banca Intesa Sanpaolo che ha realizzato un’approfondita ricerca sulle regioni meridionali, che sono poi quelle più colpite dalla crisi del covid. Il dato di partenza è quello di un rinnovato desiderio di viaggiare e fare vacanze, su cui sono d’accordo un po’ tutti. Nel breve-medio periodo ci saranno ancora difficoltà negli spostamenti internazionali, specie per quelli intercontinentali - per i quali è previsto un periodo tra i due e i quattro anni per ritornare alla normalità - ma con adeguate garanzie sulla sicurezza sanitaria (locali e località covid-free, nonché il passaporto vaccinale) sarà possibile avere buoni risultati in fretta. Sempre che le istituzioni, aggiungiamo noi, si muovano per tempo e non ci trascinino in fondo alla classifica con discussioni da bar, tipo quelle sul coprifuoco o sulle normative assurde come quella sull’uso dei gabinetti per locali che lavorano solo con spazi all’aperto, che ha creato non poca ilarità in tutta Europa...Lo scenario più probabile è che si torni al 67% delle presenze del 2019Ma vediamo quali sono le previsioni di Intesa Sanpaolo. Lo scenario più probabile indica che quest’anno nel Sud Italia si registreranno 58,3 milioni di presenze turistiche, coprendo praticamente il 67,4% di quanto fatto nel 2019. Ricordiamo che nel 2020 il turismo nel Mezzogiorno era crollato del 55,2% (con punte del 70% in Campania), contro un calo nella media nazionale del 52,4%.Se questa previsione si confermerà, al Sud ci sarà una spesa di 26,7 miliardi: il 62,9% di quanto incassato nel 2019. Questo risultato si colloca a metà fra uno scenario più negativo (che parla di un solo 52,9% di presenze rispetto al pre covid) ed uno più positivo, che azzarda invece un +79,4%. Tutto dipenderà dal “sentiment” di italiani e stranieri a muoversi e da quanto Governo e Regioni sapranno fare in fretta per recuperare il tempo perduto ed evitando soluzioni pasticciate come in Campania con le isole covid-free, che sono solo la brutta copia (e fatta male) di quanto accaduto nelle micro-isole greche al di sotto dei mille abitanti.Ma ora occorre allungare il periodo delle “vacanze”Va detto che molta parte di queste previsioni si basa anche su un possibile prolungamento del periodo delle ferie-vacanze degli italiani: dalla concentrazione fra luglio ed agosto, ci si dovrebbe spingere fino a settembre-ottobre (ed anche a fine anno), sulla base del progredire delle vaccinazioni e di una maggiore sicurezza percepita. E solo dalla fine dell’anno, con una rimessa in gioco anche delle città d’arte, ci potrà essere una significativa ripresa di un turismo internazionale. Per il direttore di Srm, Massimo Deandreis, infatti, «l'analisi svolta si basa su tre scenari che sono connessi con l’avanzare del piano vaccinale. Lo scenario base è caratterizzato dalla maggiore probabilità e si basa sull'ipotesi che il piano vaccinale sarà rispettato» -
Il Covid non ci dimostra solo tutta l’inadeguatezza delle nostre scelte di politica sanitaria. È anche una sorta di cartina di tornasole del disastro ambientale che abbiamo generato nel mondo fra deforestazione, inquinamento e riduzione della biodiversità. E soprattutto è un meccanismo imprevisto e terribile che sta sconvolgendo l’economia e le nostre abitudini più comuni. Per restare ai temi di nostro interesse, pensiamo a come la pandemia ha praticamente cancellato i viaggi e il turismo, mettendo in ginocchio alberghi e ristoranti. Ma tutto ciò non basta: il coronavirus ha anche innescato una bomba sociale i cui effetti sono forse al momento incalcolabili. Ci riferiamo alla denatalità che, soprattutto in Italia, uno dei Paesi con più anziani al mondo, avrà effetti devastanti, anche se le istituzioni e i politici non se ne curano.Eppure è un problema gigantesco su cui l’Italia dovrebbe porre la più alta attenzione. Ma nel Recovery plan, che tanto fa discutere il mondo politico, non se ne tiene conto, né a livello di scenari, né per investimenti ad hoc. E, tanto per sottolineare il disinteresse generale verso questo tema, ricordiamo che del già insufficiente e quasi ridicolo Family Act approvato a giugno per sostenere le nascite, ad oggi non ci sono ancora i decreti attuativi.Come ricorda il direttore di Panorama della Sanità, Sandro Franco, può sembrare un paradosso, ma mentre ogni giorno attendiamo con ansia il bollettino dei contagiati, ci è scivolato quasi addosso l’ultimo rapporto dell’Istat pubblicato qualche giorno prima di Natale che avverte che siamo al crollo sotto la soglia psicologica dei 400mila nuovi nati per anno. Come dire, ci sono sempre meno nati e più morti e il saldo è assolutamente negativo. Del resto il tasso di fecondità in Italia nel 2019 era dell’1,29%, uno dei più bassi in Europa. E non è che, come pensava forse qualcuno, i vari lockdown abbiano spinto gli italiani a fare più figli. Anzi, la comprensibile preoccupazione sul futuro ha scoraggiato molte giovani coppie e, vista la riduzione delle occasioni di socialità anche fra i giovani, è molto probabile che ci sia stato un rallentamento anche nella nascita di nuove coppie.E con la crisi economica che ci aspetta nei prossimi mesi è difficile immaginare che ci possa essere una controtendenza. È anzi probabile che la natalità decresca ulteriormente...Visto che il pianeta è fin troppo abitato e la sovrappopolazione è una delle cause del disastro ecologico, qualcuno potrebbe anche rallegrarsi se in Italia facciamo meno figli. In meno si sta sulla terra, meglio sarebbe per tutti. Il problema è che da noi, a differenza di quanto avviene in Asia, in America Latina o in Africa, la popolazione invecchia, non genera reddito e i nuovi nati non compensano i decessi. -
Le sfide del 2021 saranno forse più impegnative di quelle dei mesi scorsi. La pandemia non è certo finita, ma ora si stanno esaurendo le risorse con cui abbiamo finora combattuto il virus a livello sociale ed economico, per sostenere imprese, lavoratori e famiglie alle prese col periodo certamente più difficile dalla fine della seconda guerra mondiale. La paura e l’ansia dei mesi scorsi non è certo sparita con i botti di Capodanno. Un po’ di ristori e tre mesi fra sospensione dei licenziamenti e nuova cassa integrazione è il periodo transitorio in cui potremo forse avere ancora qualche protezione. Dopo di che … saremo di fatto senza rete.Idee e ottimismo più importanti dei soldiIn gioco non c’è solo il futuro delle imprese. A partire da quelle del turismo, che finora sono state le più colpite dalla gestione della pandemia. In forse c’è la tenuta della società, con un welfare che ha mostrato tutte le sue debolezze e che non può certo essere rinvigorito da iniezioni di assistenzialismo a pioggia che alla fine indeboliscono la capacità di reazione dei singoli e delle aziende. È assolutamente indispensabile poter contare su una ripresa che, prima ancora che sui soldi (pure indispensabili), deve viaggiare sulle gambe di idee nuove e di un ottimismo della volontà che non ha nulla a che spartire con l’attuale dibattito, surreale, dei politici.Il Recovery Plan potrebbe essere uno degli strumenti con cui proporre agli italiani scenari in cui credere e sui quali investire. Ma, al di là della discussione su chi dovrebbe gestire i circa 200 miliardi disponibili nei prossimi anni, che credibilità può avere un piano che destina al turismo (e alla cultura) solo 3 miliardi? Qualcuno può davvero pensare che il futuro dell’Italia possa basarsi su un ennesimo salvataggio dell’Alitalia e sul reddito di cittadinanza ai criminali, dimenticando invece tutto il mondo dell’accoglienza e dell’ospitalità? E ancora: a fronte della necessità di almeno 30-35 miliardi per mettere a bolla la sanità, cosa si può fare con 9 miliardi? Tanto più che non siamo neanche in grado di organizzare al meglio la campagna di vaccinazione (mancano siringhe e medici), a partire dalla Lombardia, la regione più ricca d’Italia che si appresta all’ennesima dimostrazione di totale inefficienza. Il vaccino ci darà una mano, ma dovremo approfittarne per pensare in grande a come ricostruire l’Italia, ognuno per le sue competenze e per quello che potrà fare.Condividere strategie per convincere tuttiLa ripresa sarà vincente se avrà alle spalle una visione condivisa dalla gente. E fra chi deve assolutamente ripartire c’è il mondo dei pubblici esercizi e del turismo, sulle cui possibilità di ripresa Italia a Tavola scommette senza alcun dubbio. Nei prossimi mesi molte aziende si perderanno per strada (fra chiusure e fallimenti), ma chi resterà sul mercato sarà più forte e, soprattutto, avrà vinto la scommessa del cambiamento. Fin dal primo giorno della pandemia abbiamo seguito e testimoniato tutte le difficoltà del comparto. Abbiamo raccolto idee, proposte e strategie, dando voce come sempre a tutti i più qualificati protagonisti, combattendo per sostenere aiuti e interventi. Oggi vogliamo essere ancora di più in prima fila, offrendo sempre più aggiornamenti e tendenze utili a ristoranti, bar ed hotel e a tutto il mondo della filiera agroalimentare. A imprese, professionisti e consumatori offriremo un’informazione ancora più chiara e tempestiva utilizzando tutti i mezzi di comunicazione a nostra disposizione, grazie anche ai tanti esperti che collaborano con noi.E lo facciamo tenendo conto anche dei suggerimenti e delle richieste che ci vengono dai lettori e in particolare da chi ci segue sui social. In questa prospettiva uno strumento prezioso che abbiamo valorizzato anche nei mesi in cui tutte le testate si riducevano per foliazione e contenuti, è la nostra rivista mensile cartacea che resta un appuntamento insostituibile per decine di migliaia di aziende dell’Horeca che vogliono restare aggiornate. È la nostra modalità per essere il più vicino possibile agli operatori che vogliono affrontare le tante sfide del futuro. Noi ci siamo e la modalità più semplice per stare sempre in contatto è l’abbonamento. Ciò che importante oggi è lavorare per fare squadra con tutti, per riappropriarci della nostra vita con moderazione, facendo un passo avanti e magari mezzo passo indietro se serve. Ma avendo davanti idee chiare, progetti e scenari. E per questo ci siamo. Insieme ce la possiamo fare. -
Adesso ci mancava solo la mutazione inglese del Covid, con l’annessa nuova ondata di paura e, soprattutto, di sconforto. Proprio mentre ci accingiamo ad avviare la più importante campagna di vaccinazioni di massa mai tentata al mondo, ci ritroviamo con nuovi dubbi ed incertezze. Quasi che in Italia non ne avessimo avuto abbastanza del barcamenarsi fra Dpcm e ordinanze di Governatori e Sindaci, senza che si sia mai avuta una coerenza di comportamenti o una condivisione su cosa fare rispetto agli obiettivi primari di salvare quante più vite possibili ed impedire un tracollo della nostra economia. Fra continui “apri e chiudi” è sempre stato uno scontro costante che ha visto perire giorno dopo giorno bar e ristoranti in tutta Italia, insieme a tutte le aziende che si occupano di svago e benessere.E il risultato è un’Italia sempre più triste, più povera e più sfiduciata che assiste impotente al balletto dei nostri politici che sembrano vivere su un altro pianeta. Ciò che preoccupa è la politica demenziale del bastone e della carota usata negli ultimi mesi, alternando pretese “buone notizie” a drastici retromarcia, quasi che agli italiani non sia possibile parlare con responsabilità. D’estate ci avevano consigliato di passare le ferie vicino a casa, ma poi hanno aperto le frontiere, dato i bonus vacanze e aperto le discoteche. E quando si sono create le situazioni pericolose delle movide incontrollate, la colpa era degli italiani o dei gestori, non certo delle istituzioni che non avevano fatto i controlli.Non ci sono soldi per i ristori e la cassa integrazione per chi è stato chiuso a ripetizione per decreto (i pubblici esercizi), ma poi si è continuato a foraggiare uno strumento utile come il reddito di cittadinanza, gestito in maniera vergognosa come assistenzialismo e mancia elettorale. E ancora, nei bar o nei ristoranti non si poteva andare di sera e i coperti dovevano essere contingentati, ma poi nessuno controllava gli assembramenti nei centri commerciali o nelle vie dello shopping, che si sono riempiti anche su incentivo dell’improvvido avvio del cash-back.Il risultato è che gli italiani non capiscono più cosa si deve fare, e dopo settimane di un Paese “arlecchino” si ritrovano carichi di ansia e preoccupazioni.E poi ci sono le questioni di fondo irrisolte. A parole, già dall’estate tutti parlavano dei problemi veri a cui porre rimedio con priorità assoluta. Dai mezzi di trasporto, che non potevano essere scatole di sardine, alle terapie intensive negli ospedali che andavano potenziate con ventilatori e, soprattutto, con personale aggiuntivo. Ma ad oggi cosa è stato fatto? Praticamente nulla, tanto che torna ad essere in forse la riapertura delle scuole, che sono luoghi di fatto sicuri, mentre non lo sono i mezzi con cui ci si arriva o si torna a casa. E tutte le nuove restrizioni vanificano anche i precedenti sacrifici chiesti “per salvare il Natale” e sono legate alla paura che gli ospedali non possano sostenere una terza ondata di contagi per l’evidente impreparazione di tutto il sistema sanitario.Ma cosa fare lo sapevamo già dal primo lockdown. Si è preferito rinviare ogni decisione, sperando forse che il virus andasse in sonno da solo. Per carità, si tratta di un errore compiuto dalla maggior parte dei governi in tutto il mondo. Il punto è che da noi si è preferito puntare sul bizantinismo dei decreti e su aiuti a pioggia (che non accontentano alla fine nessuno...), invece di prendere decisioni anche impopolari. Conte, che pure nei primi tempi aveva dato una buona impressione alla gran parte degli italiani, si è fatto prendere la mano dal mestiere del politico. Rinnegando il fatto di essere figlio di quell’antipolitica tanto strombazzata da Grillo & company, il premier ha illuso e usato la comunicazione come uno strumento di gestione dell’emergenza, dividendo l’Italia fra “protetti” (gli statali, gli impiegati in smart working, la grande industria sindacalizzata) e “abbandonati” (tutto il mondo del turismo, gli artigiani, le piccole imprese). E che dire dell’illusione di garantire posti di lavoro col divieto di licenziamento, la cui scadenza è spostata di mese in mese? La verità è che allo Stato costa meno pagare la cassa integrazione che non le indennità di licenziamento... -
Perché fare un sondaggio sui professionisti dell’enogastronomia e dell’accoglienza mentre proprio questo comparto sta soffrendo, più di chiunque altro, per la pandemia da Covid-19? La domanda ce l’hanno posta alcuni lettori e, soprattutto, ce la siamo posta noi quando dovevamo decidere se avviare o meno la consultazione sul Personaggio dell’anno. E la risposta ci è venuta quasi spontanea: perché imprenditori, lavoratori, consulenti o tecnici di questo nostro mondo con tenacia, convinzione e serietà hanno dimostrato un coraggio e una professionalità incredibile nell’affrontare la situazione drammatica di questi mesi.Senza sostegni economici o aiuti come per altri colleghi europei, bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie o alberghi hanno subito chiusure, riduzioni di orario e, soprattutto, l’infame dubbio di poter essere considerati fra i luoghi in cui ci si potrebbe infettare. È vero che alcune situazioni di movida esasperata, soprattutto dopo il primo lockdown, ma anche durante questo periodo, hanno creato situazioni di allarme, ma vogliamo mettere con la disastrosa condizione dei trasporti pubblici o con quelle autentiche camere a gas per la diffusione del virus che sono i centri commerciali?Gli alberghi e i pubblici esercizi si sono da subito adeguati ai protocolli di sicurezza concordati con gli esperti e gli scienziati, tanto da garantire, nella stragrande maggioranza dei casi, locali a prova di contagio. Distanziamenti, mascherine e igienizzazioni potenziate sono gli strumenti messi in campo da tutti, tanto che non si sono accertati casi di focolai scoppiati in questi spazi. Né il personale del comparto è fra quelli che ha avuto più casi di contagi.Ma nonostante ciò ristoranti e hotel sono stati colpiti con durezza. I decreti di chiusura vera e propria si sono sommati alle disposizioni per lo smart working, che hanno allontanato clienti, e alle chiusure del turismo. E tutto ciò senza compensazioni economiche adeguate. Fra ristori insufficienti o cassa integrazione col contagocce è stato un vero massacro che rischia di portare alla chiusura di almeno 30-40mila locali entro i primi mesi del 2021.Eppure, questi professionisti si sono organizzati. Chi poteva ha fatto consegne a domicilio o lavorato per l’asporto. C’è chi ha partecipato ad una autentica rivoluzione digitale attivando prenotazioni o ordini online. C’è chi ha rivisto tecniche di cucina e cambiato i menu. E chi magari ha dato nuove impostazioni agli alberghi. E il tutto con una sostanziale indifferenza, se non addirittura ostilità, di una certa politica che a Roma come nelle Regioni ha dimostrato coi fatti di non curarsi poi molto del turismo. Tant’è che nei vari Dpcm di un premier sempre più lontano dalla realtà i pubblici esercizi sono stati una sorta di terra di nessuno a cui poter assegnare un ruolo di “quasi untori” per coprire le proprie incapacità o i propri terribili errori di gestione. Dalla mancanza dei controlli alla gestione dei trasporti.Ma noi siamo convinti che questi professionisti meritino più rispetto ed attenzione. A loro sarà affidato il compito di gestire nel post covid una ripresa che non potrà non passare dai loro locali che sono da sempre il simbolo dello stile di vita italiano. E per questo, soprattutto quest’anno, il Sondaggio per il Personaggio dell’anno non poteva mancare. È l’occasione per ricompattare un mondo che nello spirito di squadra trova le sue basi e che ci rappresenta tutti come italiani. Coi nostri candidati vogliamo rendere simbolicamente onore un po’ a tutti e vogliamo dare valore a tutta la filiera dell’agroalimentare che, insieme a baristi o cuochi, ha sofferto in questi mesi. Un Made in Italy che oggi non dobbiamo fare arretrare rispetto alla qualità che è stata raggiunta negli anni. Votare - basta un click - è un modo per essere vicino a tutti loro e sperare in un futuro positivo. - Laat meer zien