Afleveringen
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"Jazz Anthology", programma storico di Radio Popolare, esplora la lunga evoluzione del jazz, dalla tradizione di New Orleans al bebop fino alle espressioni moderne. Il programma, con serie monografiche, valorizza la pluralità e la continuità del jazz, offrendo una visione approfondita di questo genere musicale spesso trascurato dai media. La sigla del programma è "Straight Life" di Art Pepper, tratto da "Art Pepper Meets The Rhythm Section" (1957).
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"Jazz Anthology", programma storico di Radio Popolare, esplora la lunga evoluzione del jazz, dalla tradizione di New Orleans al bebop fino alle espressioni moderne. Il programma, con serie monografiche, valorizza la pluralità e la continuità del jazz, offrendo una visione approfondita di questo genere musicale spesso trascurato dai media. La sigla del programma è "Straight Life" di Art Pepper, tratto da "Art Pepper Meets The Rhythm Section" (1957).
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Zijn er afleveringen die ontbreken?
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"Jazz Anthology", programma storico di Radio Popolare, esplora la lunga evoluzione del jazz, dalla tradizione di New Orleans al bebop fino alle espressioni moderne. Il programma, con serie monografiche, valorizza la pluralità e la continuità del jazz, offrendo una visione approfondita di questo genere musicale spesso trascurato dai media. La sigla del programma è "Straight Life" di Art Pepper, tratto da "Art Pepper Meets The Rhythm Section" (1957).
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"Jazz Anthology", programma storico di Radio Popolare, esplora la lunga evoluzione del jazz, dalla tradizione di New Orleans al bebop fino alle espressioni moderne. Il programma, con serie monografiche, valorizza la pluralità e la continuità del jazz, offrendo una visione approfondita di questo genere musicale spesso trascurato dai media. La sigla del programma è "Straight Life" di Art Pepper, tratto da "Art Pepper Meets The Rhythm Section" (1957).
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"Jazz Anthology", programma storico di Radio Popolare, esplora la lunga evoluzione del jazz, dalla tradizione di New Orleans al bebop fino alle espressioni moderne. Il programma, con serie monografiche, valorizza la pluralità e la continuità del jazz, offrendo una visione approfondita di questo genere musicale spesso trascurato dai media. La sigla del programma è "Straight Life" di Art Pepper, tratto da "Art Pepper Meets The Rhythm Section" (1957).
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Una delle uscite discografiche più clamorose nell'ambito del jazz nel 2024 è Forces of Nature, il live inedito del '66 del quartetto di McCoy Tyner, pianoforte, e Joe Henderson, sax tenore, con Henry Grimes al contrabbasso e Jack DeJohnette alla batteria: uscito dall'archivio personale dell'unico ancora fra noi dei quattro grandi musicisti, Jack DeJohnette, è certamente uno degli inediti di jazz accolti con più entusiasmo degli ultimi anni. Nelle note di copertina, DeJohnette ricorda che quando il loro set fu registrato, il jazz attraversava un momento straordinario, molto creativo, con tanti musicisti che cercavano cose nuove, che avevano voglia di sperimentare, e che lo Slugs - non esattamente un locale da educande - era uno di quei posti dove chi aveva voglia di sviluppare delle idee si sentiva incoraggiato a farlo. E poteva allargarsi senza i limiti di durata dei pezzi registrati in una seduta di incisione: i brani sono quasi tutti piuttosto o molto estesi, e nella meraviglia complessiva di questo inedito, c'è anche quella di due brani di rispettivamente più di 26 e più di 28 minuti di musica effervescente e contagiosa.
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Antivigilia all'insegna del jazz natalizio. Nelle puntate di Jazz Anthology del periodo delle feste, un anno fa (vedi puntate del 25 dicembre 2023 e primo gennaio 2024) vi avevamo fra gli altri proposto brani dagli album natalizi di Peggy Lee e di Stan Kenton: da cui prendiamo per cominciare altri brani, che non c'era stato il tempo di ascoltare allora. Ma come clou della puntata ascoltiamo l'album natalizio, uscito alla fine del 2023, di Samara Joy, la giovane e straordinaria cantante di cui nella puntata del 18 novembre scorso abbiamo presentato il nuovo album Portrait: anche nel suo album natalizio - che nel titolo gioca sul suo nome: A Joyful Holiday - Samara Joy conferma di cercare di costruirsi un repertorio originale, e sceglie Warm in December, un brano lanciato nel '56 da Julie London e poi poco battuto; ma non teme con un classicissimo come The Christmas Song di confrontarsi con le interpretazioni fissate da pezzi da novanta come Nat King Cole, Mel Tormé, Frank Sinatra, Ella Fitzgerald.
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Il 12 dicembre è mancato, a 97 anni, Martial Solal, uno dei protagonisti più grandi e originali del jazz europeo, e dagli anni cinquanta uno dei più grandi pianisti del jazz certo non solo europeo. Gli rendiamo omaggio con qualche flash sulla sua carriera: Solal al festival di Cannes del '58 col suo trio, come accompagnatore di Dizzy Gillespie, e nel quintetto di Barney Wilen e Sacha Distel; nel '59 all'Olympia nel gruppo di Stan Getz; nel '60 con le musiche dei film Si le vent te fait peur, di Degelin, e dell'epocale A' bout de souffle di Godard; nel '99 nell'album in duo con un altro mostro sacro della scena francese, Michel Portal; e nel 2005 in solo, col suo cavallo di battaglia Bluesine, nell'album Solitude, inciso per l'etichetta italiana Cam Jazz.
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Dopo avere dedicato nella primavera scorsa una puntata ciascuno (le potete trovare in podcast) agli album del classico trittico realizzato a Parigi nell'estate del '69 da Archie Shepp - Yasmina, a black woman, Poem for Malcolm e Blasé - accogliamo con grande piacere la ristampa di un altro album di Shepp, Live at the Panafrican Festival, che cronologicamente li precede di pochissimo, e in qualche modo ne rappresenta la premessa. In una Algeria fresca di indipendenza, raggiunta dopo una dura lotta di liberazione nel '62, alla fine del luglio 1969 si svolge il Festival Panafricano di Algeri, il più importante evento culturale dell'Africa dell'era delle indipendenze dopo il festival Mondiale delle Arti Negre a Dakar nel '66. Oltre che numerosi militanti, intellettuali e artisti afroamericani, il festival di Algeri richiama parecchi esponenti del free jazz, fra cui Archie Shepp, figura perfetta per inserirsi nel clima torrido della manifestazione, dove le istanze rivoluzionarie sono all'ordine del giorno. Nell'incontro del sassofonista con musicisti tradizionali algerini e tuareg, l'idea - che percorre il free jazz - di ritorno all'Africa, alle radici, densa di orgoglio nero e di rifiuto dell'America razzista e capitalista, sembra trovare una concretizzazione. Oltre ad essere un documento di grande importanza per questi motivi, Live at the Panafrican Festival fotografa inoltre un episodio pionieristico - e tra i più storicamente e artisticamente significativi - di incontro del jazz con l'Africa, che precede quello di Ornette Coleman con i musicisti marocchini di Jajouka e quelli che avranno come protagonista Randy Weston.
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Samara Joy aveva diciannove anni quando nel 2019 è stata la sensazionale rivelazione della Sarah Vaughan International Jazz Competition, e a soli venticinque anni - che ha compiuto lunedì scorso, 11 novembre - della vocalità jazzistica è ormai una certezza. Essendo così brava e avendo vinto quel concorso è stata subito esposta al rischio di essere spinta a replicare il modello delle più grandi cantanti della storia del jazz e in particolare appunto la Vaughan, cosa che naturalmente in un'epoca completamente diversa non avrebbe grande senso: ne avevamo parlato nel novembre 2022 in occasione dell'uscita del suo primo album per la Verve, Linger Awhile (la puntata la potete trovare in podcast). A cinque anni di distanza dal suo esordio si può dire che Samara Joy si è destreggiata bene, non si è montata la testa e non si è atteggiata a "nuova" Sarah Vaughan. Il suo nuovo album per la Verve, Portrait, è un gran disco, che testimonia della sua maturazione come interprete, della ricerca di una qualità musicale d'insieme (l'album, in cui figurano giovani musicisti con cui Samara è in confidenza da quando era all'università, è prodotto da Brian Lynch) e del suo interessante sforzo per costruirsi un repertorio originale, che non sia il ricalco di quello dell'età dell'oro del canto jazz: è per esempio indice di una intelligente apertura di interessi e di ascolti una scelta decisamente non convenzionale e impegnativa come quella di interpretare una composizione di Mingus come Reincarnation of a Lovebird, incaricandosi anche personalmente di scrivere i versi che Samara ci fa ascoltare.
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Da un certo momento in poi, in particolare a partire dal suo lavoro con Michael Jackson, Quincy Jones - mancato il 3 novembre scorso a 91 anni - è diventato una figura ben nota ad un pubblico ben più vasto di quello del jazz, e tutta la parte della sua carriera più strettamente legata al jazz è meno conosciuta di quella invece in cui Jones ha brillato come produttore e ha operato nell'ambito della black music e del pop. Gli rendiamo allora omaggio con una carrellata di registrazioni dei primissimi anni della sua carriera, che può dare un'idea del dinamismo e del respiro dell'attività intensissima - e già molto varia, anche sul terreno del rhythm'n'blues e delle musiche che vanno verso un incipiente rock'n'roll - di un giovanissimo Quincy Jones: da un Quincy Jones diciottenne, trombettista nel '51 nelle file dell'orchestra di Lionel Hampton, ad un Jones ventitreenne, direttore e arrangiatore nel '56 per quel Ray Charles che è stato per lui una grande ispirazione.
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Le cantanti che contribuiscono maggiormente a definire il canto jazzistico dopo Billie Holiday e Ella Fitzgerald, nella fase che comincia nell'immediato secondo dopoguerra, sono fondamentalmente due, Dinah Washington, che abbiamo già incontrato in questa serie sugli album che hanno caratterizzato l'annata discografica 1954 del jazz, e Sarah Vaughan. Nel '54, quando incide l'album Images, Sarah Vaughan è sulla trentina e ha già alle spalle una carriera già importante e di successo. Images rappresenta uno snodo piuttosto rilevante del suo percorso: è l'album del passaggio della cantante con la Mercury, che ha delle implicazioni artistiche significative, perché fra il '48 e il '53 la Vaughan ha inciso per la Columbia, che le ha assegnato un repertorio piuttosto commerciale, cosa di cui la Vaughan è stata scontenta. Nel '57 gli otto brani di Images, Lp a 10 pollici, saranno ricondotti ad un Lp a 12" con l'aggiunta di cinque brani supplementari, pubblicato col titolo Swingin' Easy, e accolto con molto favore dalla critica. Poco prima del Natale '54 la Vaughan incide poi un album che esce nell'aprile '55 col titolo Sarah Vaughan, poi nel '91 ripubblicato in Cd con il titolo Sarah Vaughan with Clifford Brown: lo status dell'album è col tempo cresciuto anche per la presenza del grande trombettista, morto tragicamente alla metà del '56.
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Dopo essere decollata nei primi anni quaranta, a cavallo tra la fine del decennio e il principio degli anni cinquanta la carriera di Frank Sinatra atraversa una fase molto negativa. Nel '52 la Columbia chiude il rapporto con lui, e nell'ottobre del '53 viene annunciata ufficialmente la separazione del cantante da Ava Gardner, un epilogo della loro relazione che lo lascia a pezzi. Intanto però nel marzo del '53 Sinatra ha firmato per sette anni con la Capitol, una casa discografica che gli lascia maggiore libertà artistica; e nell'agosto del '53 esce Da qui all'eternità, film di grande successo per il quale Sinatra nel '54 vince l'Oscar come migliore attore non protagonista: è l'inizio della sua trionfale rimonta. Per la Capitol Sinatra comincia a registrare con Nelson Riddle, affermato arrangiatore e direttore d'orchestra, e l'intesa è immediata; intanto Sinatra ha continuato a maturare come interprete, anche come effetto dei suoi patimenti sentimentali: e, uscito nel gennaio del '54, suo primo album per la Capitol - arrangiamenti quasi tutti di George Siravo, direzione di Nelson Riddle - Songs for Young Lovers è una sorta di album tematico sulle vicissitudini di un giovane innamorato. Nell'agosto del '54 segue Swing Easy!, arrangiato e diretto da Nelson Riddle, album di taglio nettamente più jazzistico del precedente, indicativo della sensibilità di Riddle allo swing, e del desiderio di Sinatra di avere una reputazione non soltanto come cantante confidenziale e da ballad, ma appunto anche come cantante che sa swingare.
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Verso la metà degli anni cinquanta sono di moda il cool jazz e il jazz californiano, che hanno reso più morbida, soffice, la bruciante novità che negli anni quaranta è stata portata nel jazz dal bebop: di quella esplosiva novità Charlie Parker, sax alto, è stato il massimo alfiere, il protagonista più dirompente. Molta acqua dunque è passata sotto i ponti, ma anche se da un punto di vista estetico Parker è ormai il testimone di un'epoca che è passata, sulla scena del jazz il sassofonista, figura circonfusa di mito, continua ad essere il più grande. Non ne ha per molto: minato dalla tossicodipendenza e dall'alcool, sarebbe morto nel marzo del '55, a soli trentaquattro anni. Intitolato semplicemente Charlie Parker, il suo album del '54 venne pubblicato dalla Clef del produttore Norman Granz, e fu uno dei più importanti di quella annata discografica del jazz. Con una significativa particolarità: le incisioni erano state realizzate nel '52-53 in quartetto sax, piano, contrabbasso e batteria, senza un altro fiato, come nei quintetti con alla tromba prima Dizzy Gillespie e poi Miles Davis. In effetti non ci sono molte registrazioni ufficiali di Parker in quartetto, e da questo punto di vista l'album rappresentava un corpus di incisioni di rilievo.
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Affermatasi nell'era dello swing, poi entrata in sintonia con il bebop, fino al '50 Ella Fitzgerald aveva fondamentalmente registrato accompagnata da big band o da piccoli organici con piano, chitarra, basso, batteria. Ma nel '50, per il suo primo Lp, Ella Sings Gershwin, il produttore della Decca Milt Gabler ha il merito di pensare ad una formula diversa, un essenziale duo con un pianista, Ellis Larkins; nel '54, per il secondo Lp della Fitzgerald, Songs in a Mellow Mood, Gabler sceglie un bis, un altro duo con Larkins. I duo con pianisti resteranno nella produzione discografica di Ella Fitzgerald degli episodi rari: a parte qualche brano sparso, dopo i due album con Larkins ci sarà l'album del '60 con Paul Smith, Let No Man Write My Epitaph, e nel '75 parte dell'album Ella and Oscar, con Oscar Peterson. Come gli altri album in duo con un pianista, Songs in a Mellow Mood mostra come la Fitzgerald, che è stata una grande cantante swing e bebop virtuosistica ed acrobatica, amasse - e quanto le fosse congeniale - una dimensione raccolta, intima del canto: come testimonieranno poi anche, negli anni settanta e ottanta, gli album realizzati con il chitarrista Joe Pass.
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Nell'estate del 1998 Lee Konitz partecipò come ospite ad alcuni concerti di Ornette Coleman. Coleman e Konitz avevano provato alcune musiche di Ornette nell'appartamento di Konitz a New York: le musiche furono utilizzate in concerto ma poi dimenticate. Il sassofonista Ohad Talmor, che è stato molto vicino a Konitz, dopo la morte di Konitz ha trovato tre nastri di registrazioni delle prove di Coleman con Konitz, ci ha lavorato sopra, e ne ha ricavato le linee melodiche generali di alcune composizioni, che per quanto magari utilizzate dal vivo nel '98, sono sostanzialmente inedite. Queste composizioni sono il perno di Back to the Land, in cui Talmor ha utilizzato anche composizioni "ufficiali" di Coleman, composizioni di Dewey Redman, e composizioni proprie, interpretandole con una varietà di assortimenti di musicisti (fra i quali personaggi di sicuro interesse come per esempio Joel Ross e Adam O'Farrill). Un doppio cd con un bel caleidoscopio di brani, con cui, in maniera originale e con molto tatto ed eleganza, Talmor rende omaggio a due maestri come Ornette e Dewey Redman.
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Tra i musicisti che nell'etichetta elvetica Intakt hanno trovato un interlocutore che li ha valorizzati in maniera sistematica c'è la sassofonista tedesca - e newyorkese di adozione - Ingrid Laubrock: delle sue uscite con la intakt ci siamo occupati in diverse puntate di Jazz Anthology, che potete rintracciare scorrendo i podcast della trasmissione, e vale senz'altro la pena di tornare a darle spazio a Jazz Anthology per il suo nuovo album Brink, in duo con il batterista Tom Rainey, suo compagno anche nella vita. Nelle note di copertina Nels Cline scrive che Laubrock e Rainey "improvvisano come i compositori che sono, e compongono come gli improvvisatori che sono", e osserva che "un aspetto affascinante di questa musica è quanto sia permeata dalla melodia". La intakt è un valido interlocutore anche per un'altra sassofonista attiva oltre Atlantico, Caroline Davis, nata a Singapore, cresciuta negli Stati Uniti, dal 2013 a Brooklyn; realizzato con una formazione di prim'ordine, e con ospiti come la flautista Nicole Mitchell e la rapper Nappy Nina, Portals Vol. 2 è una proposta fresca e fuori dagli schemi, e anche l'occasione per prendere nota di un po' di personaggi nuovi che troviamo fra i musicisti che hanno contribuito all'album, e innanzitutto della stessa Caroline Davis, che sembra avere della stoffa.
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A partire dal '46, quando ha ventuno-ventidue anni, Bud Powell comincia ad incidere con musicisti di area bebop, e appare un pianista di eccezionale livello e già audacemente proiettato in avanti. Pur incidendo in diversi formati, la sua dimensione prediletta è il trio piano-basso-batteria, una formula all'epoca tutt'altro che ovvia, a cui proprio Powell con i suoi dischi dà un impulso decisivo. Fra il '49 e il '51 la Blue Note pubblica in quattro 78 giri incisioni realizzate da Powell con una formazione comprendente Fats Navarro alla tromba e il giovanissimo Sonny Rollins al sax tenore o in trio, con Tommy Potter e Roy Haynes o con Curley Russell e Max Roach: nel '52 la Blue Note le riunisce in un album a 12 pollici intitolato The Amazing Bud Powell. Nell'agosto del '53 Powell incide nuovamente in trio, questa volta con George Duvivier e con Art Taylor: ne nascono due 78 giri, i cui brani assieme ad altri dalla stessa seduta nel '54 vengono pubblicati dalla Blue Note in un altro 12 pollici, intitolato The Amazing Bud Powell volume 2. Se il primo The Amazing Bud Powell era diviso fra brani in quintetto e in trio, il secondo volume è un album interamente, e coraggiosamente, in trio. A riprova della fortuna di questo album - uno dei più importanti usciti nel '54 - che contribuì all'affermazione del pianismo di Powell così come al consolidamento della formula del trio piano-basso-batteria, fra il '55 e il '57 Powell realizzerà altri quattro album in trio, tre su quattro con Duvivier e Taylor.
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Dopo averlo visto nella puntata scorsa nel primo album prodotto dal suo sodalizio - che farà epoca - con Max Roach, ritroviamo Clifford Brown, questa volta con un altro batterista, Art Blakey, in A Night At Birdland, altro album che come quello con Roach sarà tra i più importanti dell'annata discografica del jazz nel '54. Brown e Blakey si trovano insieme in studio di incisione già nell'estate del '53, dunque diversi mesi prima dell'inizio della collaborazione di Brown con Roach, e A Night At Birdland viene registrato nel febbraio '54, mesi prima dell'album (agosto) con Roach, e anche l'uscita è precedente: A Night At Birdland viene pubblicato dalla Blue Note in tre album a 10 pollici usciti fra luglio e novembre, l'album con Roach uscirà in dicembre. Ma mentre Brown non rimase a lungo con Blakey, e questa fu la sua ultima registrazione con lui, l'associazione con Roach durò fino alla tragica scomparsa di Brown nel '56. La formazione di Blakey, con Lou Donaldson al sax tenore e Horace Silver al piano, formalmente non è ancora i Jazz Messengers, ma siamo all'alba dell'hard bop di cui Blakey e Silver saranno due figure trainanti: i tre 10 pollici di A Night At Birdland furono tra le uscite di maggiore successo dell'anno, e questo contribuì a dare impulso all'impresa che poi si sarebbe chiamata Jazz Messengers.
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A fine '53/inizio '54, Max Roach ingaggia per il proprio gruppo il trombettista Clifford Brown: è l'avvio di uno dei soldalizi più straordinari di tutta la storia del jazz, crudelmente stroncato nel giugno '56 dall'incidente stradale nel quale Brown perde la vita a soli venticinque anni. Personalità forte, determinata, Roach ha sei anni più di Brown, fin dalla prima metà degli anni quaranta è stato accanto a uomini come Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonious Monk, i creatori del nuovo linguaggio del bebop di cui Roach, giovanissimo, è stato un caposcuola per la batteria; Brown invece ha cominciato ad emergere sulla scena del jazz solo nel '49, e da poco la sua carriera ha veramente cominciato a decollare: eppure - a testimonianza della considerazione da cui Brown era circondato, e anche delle sue qualità umane, che lo facevano apprezzare da tutti - Roach intesta anche a Brown il suo nuovo quintetto, così come a nome di entrambi esce il primo disco della formazione, inciso nell'agosto del '54. Col solismo di Brown in alcune delle sue prove più alte, ma anche col talento compositivo del trombettista, con la musicalità di Roach e la sua sintonia con Brown, con la maturità del bop del gruppo, l'album Clifford Brown and Max Roach, uno dei dischi che segnano il '54 del jazz, è il trampolino di un quintetto che si avvia a fare epoca.
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