Afleveringen
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Tra il 1945 e il 1953 vedono la luce le opere 103 e 137. Sono gli ultimi anni della vita di Prokof’ev, segnati dal crudele accanirsi di eventi avversi. Alla malattia che lo porterà alla morte si intreccia l’ostilità subdolamente persecutoria del regime sovietico. Ne conseguono difficoltà con teatri e istituzioni per l’esecuzione dei propri lavori. Tutto culmina nel grottesco “incidente” capitato al suo cadavere, colpevole solo di essere diventato tale contemporaneamente a quello di Stalin.Unica fonte di luce sono la composizione e il rapporto con artisti come Mstislav Rostropovich e Sviatoslav Richter. A loro Prokof’ev dedica gli ultimi importanti lavori strumentali: la Sinfonia Concertante in mi minore per violoncello e orchestra op. 125 e la Nona Sonata in do maggiore op. 103 per pianoforte. Con le note di questo secondo brano e con quelle dell’inquietante frammento costituito dalle uniche 43 battute esistenti della Decima Sonata in do minore op. 137 si conclude questo ciclo.
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Tra il 1939 e il 1944 Prokof’ev sviluppa il ciclo monumentale delle tre “sonate di guerra” completato dalla Sonata in si bemolle maggiore n. 8 opera 84. Un completamento ma anche un coronamento, con il suo sguardo elevato, con la sua capacità di alzarsi al di sopra della fisicità e della brutalità umane che avevano dominato il mondo delle due sonate precedenti. Un po’ come se, dopo aver attraversato l’inferno, riuscisse a prendere corpo un afflato universale di speranza. L’individuo, l’interiorità del singolo – che il primo movimento Andante dolce sembra esplorare intimamente, dipanandosi con calma espansività – è alla base di questa speranza. Ma nell’atmosfera travolgente del finale si allarga poi allo sguardo collettivo. La Sonata n. 8 sarà proposta nell’interpretazione di Emil Gilels. A lui il compositore affidò la prima esecuzione, avvenuta nella Sala Grande del Conservatorio di Mosca il 30 dicembre 1944.
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Zijn er afleveringen die ontbreken?
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Gli anni della guerra – tra il 1939 e il 1945 – furono difficili per Prokof’ev anche nella sfera della vita privata. Sul piano professionale fu un periodo molto complesso e per certi versi contraddittorio. In quel periodo videro la luce opere altamente drammatiche come la Sesta e la Settima Sonata per pianoforte (rispettivamente op. 82 e 83). Ma anche lavori colossali e simbolici come l’opera Guerra e pace da Tolstoj e le musiche per il film Ivan il terribile di Sergej Ejzenštein. E composizioni che rappresentavano un’oasi di riparo dalla tragedia e di serenità creativa come il balletto Cenerentola. Da questa ampia partitura Prokof’ev trasse ben tre serie di trascrizioni pianistiche. Proprio queste – nell’interpretazione di Sviatoslav Richter e Vladimir Ashkenazy – sono oggetto di questa trasmissione.
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Prokof’ev compone la Sonata n. 7 in si bemolle maggiore opera 83 tra il 1939 e il 1942. Nel 1943 Sviatoslav Richter la esegue per la prima volta. Intanto nel 1941 anche l’Urss è coinvolta nella Seconda Guerra Mondiale con l’invasione delle truppe tedesche il 22 giugno. Lo spirito patriottico infiamma subito lo spirito di tutti gli artisti, compreso Prokof’ev, ma gli orrori e le sofferenze della guerra ne segnano altrettanto immediatamente gli animi e i corpi. Delle tre sonate pianistiche alle quali il compositore lavora più o meno contemporaneamente, la Settima è quella che riflette in modo più crudo e violento gli incubi e le lacerazioni di quel periodo. La racconteremo nel dettaglio e la ascolteremo nella “storica” interpretazione di Richter, che riuscì a studiarla in soli quattro giorni.
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Nel 1939 Prokof’ev torna a comporre una Sonata per pianoforte a distanza di sedici anni dalla Quinta: si tratta dell’opera 82. Tra il 1937 e il 1940, due anni dopo il suo rientro in patria, i problemi della vita sovietica sono ormai evidenti e palesi nella vita del compositore. Da questi nascono i dissapori che porteranno alla separazione con la moglie Lina. Ma la vita in Urss offre anche opportunità straordinarie, che un artista curioso e pronto a sperimentare non si fa scappare. È proprio nel 1938, infatti, che la strada di Prokof’ev incrocia quella del regista cinematografico Sergej Michajlovič Ejzenštejn. Da quest’incontro nasceranno capolavori filmici e musicali come Aleksandr Nevskij e Ivan il terribile. Ed è sempre in questo periodo che il compositore e inizia a lavorare a ben tre sonate contemporaneamente: la Sesta, la Settima e l’Ottava. Saranno caposaldi del repertorio strumentale novecentesco in tutto il mondo, grazie anche alle esecuzioni memorabili di Richter e Gilels. E alle mani del primo ci affidiamo per il racconto e l’ascolto della Sesta.
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Alla fine del 1935 Prokof’ev torna definitivamente in Russia, ora Unione Sovietica, dove vedrà la luce l’opera 75: Romeo e Giulietta. Il ritorno in patria avviene in uno dei momenti più difficili e ricchi di premonizioni tragiche per gli artisti e i musicisti in particolare. Cosa lo spinge? La speranza di poter dare un contributo alla rinascita del popolo russo? Credeva di poter godere di una posizione di privilegio? Sperava di avere più tempo per comporre? Certo un po’ di tutto questo, ma solo una piccola parte dei suoi desideri si concretizza. Il resto viene maciullato dalla violenza politica, dalla grettezza burocratica, dalle invidie velenose, dalla tragedia della guerra. Perfino un capolavoro come Romeo e Giulietta fatica a trovare la via del palcoscenico. Così – con un paradosso inimmaginabile in qualunque altro luogo e tempo – prima che nella sua veste naturale di balletto, si afferma nelle sue due riduzioni in forma di suite sinfonica o nella superba trascrizione per pianoforte solo che ascolteremo da Vladimir Ashkenazy e Lazar Berman.
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Tra il 1933 e il 1934 Prokof’ev compone i Tre Pensieri opera 62 e la raccolta di dodici brani Musica per bambini opera 65. La capacità introspettiva (dote certamente non fra le più conosciute di Prokof’ev) si manifesta appieno e programmatica fin nel titolo con i Tre Pensieri op. 62, composti fra il 1933 e il 1934. Pezzi di rarissimo ascolto, testimonianza del fatto che Prokof’ev concepiva la musica come capace di abbracciare tutte le manifestazioni e le espressioni dell’individuo. E quindi anche di saper raccontare (senza parole) fiabe e situazioni destinate al mondo dei bambini. Tutti conosciamo il miracolo di Pierino e il lupo; non tutti invece hanno familiarità con la Musica per bambini op. 65, che è un po’ la sua sorellina pianistica, perché riesce a tradurre in suono con altrettanta pienezza le capacità di fantasia, stupore, tenerezza e affettività che sono proprie dell’infanzia.
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Alcune raccolte di brani scritte fra il 1931 e il 1934 testimoniano con molta efficacia i percorsi creativi, ma anche quelli esistenziali di Prokof’ev.I Sei Pezzi op. 52 sono trascrizioni di brani orchestrali dedicate ad alcuni dei massimi pianisti viventi e inviate dall’autore ai più importanti pianisti russi. Ne ascoltiamo due eseguiti da Sviatoslav Richter e dallo stesso Prokof’ev.Le due Sonatine op. 54 riflettono il desiderio di raggiungere una semplificazione di scrittura che non significa affatto semplificazione di pensiero. Anzi, la rarefazione dei segni produce maggiore profondità di riflessione. L’op. 54 viene eseguita da Gyorgy Sandor.I Tre Pezzi op. 59 (Passeggiata, Paesaggio e Sonatina pastorale) segnano un mirabile collegamento verso le composizioni della grande stagione pianistica degli anni ’40. Lo testimonia la costanza con cui Sviatoslav Richter, alle cui mani sono affidati, li ha proposti per decenni nei suoi concerti.
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Nel 1932 nasce il Quinto Concerto per pianoforte e orchestra op. 55. La stella di Prokof’ev ha raggiunto il massimo fulgore in ambito internazionale. La sua musica, ormai eseguita ovunque nel mondo, è amata dai massimi interpreti e dal pubblico. Arrivano regolarmente proposte e idee per nuovi lavori. Anche dalla Russia. Ciò significa rapporti sempre più stretti con gli artisti e le istituzioni sovietiche e viaggi sempre più frequenti. Tutto contribuisce a nutrire l’idea di rientrare in patria, anche se sotto Stalin il clima è sempre più opprimente per artisti, pensatori e qualsiasi cittadino. Nonostante questo, tre anni dopo tutta la famiglia si trasferirà a Mosca con le tragedie conseguenti.Per ora tuttavia la mente di Prokof’ev è totalmente rivolta alla creazione. Così nel 1932 nasce il Quinto Concerto per pianoforte e orchestra op. 55. Pagina totalmente sperimentale che, al suo apparire, spiazza non poco le aspettative di pubblico e interpreti. E che dovrà aspettare le esecuzioni esplosive di Sviatoslav Richter per trovare la sua giusta, anche se limitata, dimensione nel repertorio internazionale.
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Ormai Prokof’ev e la sua famiglia sono diventati parigini. Da Parigi partono nuovi progetti e lunghe tournée verso i paesi europei, gli Stati Uniti e – per la prima volta nel 1927 – anche l’Unione Sovietica. E nel 1928 il compositore torna a scrivere per il pianoforte dopo cinque anni. Lo fa con una coppia di brani tanto affascinanti quanto sconosciuti, che intitola Cose in sé op. 45. Si tratta di vere – e quasi private – speculazioni sonore sulla dimensione armonica e sull’invenzione polifonica. Due anni dopo, su commissione del pianista Paul Wittgenstein, Prokof’ev scrive il suo Quarto Concerto per pianoforte e orchestra op. 53 per la mano sinistra. Opera ricchissima di spunti linguistici e strumentali che preannunciano idee e soluzioni poste in atto da altri autori qualche decennio dopo.
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Quelli compresi tra il 1918 e il 1923 sono gli anni americani di Prokof’ev. Anni frenetici non solo per per l’incessante impegno nella composizione e nell’autopromozione ma anche per i continui viaggi da una sponda all’altra dell’Atlantico. America sì, ma con un occhio (e un pezzo di cuore) sempre in Europa. In questi anni prendono forma composizioni pianistiche apparentemente molto diverse, magari nate con l’intento di accattivarsi il pubblico e i critici del Nuovo Mondo. Eppure, a ben guardare, si tratta di pagine sempre coerenti con l’idea di musica, fondamentale e immodificabile, di Prokof’ev. Tra queste ascolteremo i Racconti della vecchia nonna op. 31, i Quattro Pezzi (Danza, Minuetto, Gavotta, Valzer) op.32, Marcia e Scherzo op.33ter dall’opera L’amore per le tre melarance, la Quinta Sonata in do maggiore op. 38 interpretati da Emil Gilels, Evgenij Kissin, Sergej Prokof’ev, Sviatoslav Richter, Gyorgy Sandor e Vladimir Sofronitsky.
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Il 16 dicembre 1921, a Chicago, Prokof’ev esegue per la prima volta il Terzo Concerto per pianoforte e orchestra op. 26. Ormai la Russia, anche quella rivoluzionaria e post-rivoluzionaria con i suoi mille fermenti, stava stretta al giovane musicista. Così nel 1918 decide di espatriare, di tentare l’affermazione come compositore-pianista, ma anche direttore, sul più grande palcoscenico del mondo, che già in quegli anni sono gli Stati Uniti. Prokof’ev vi arriva armato di grande determinazione e di fiducia in se stesso ma anche di un repertorio abbastanza nutrito e di alcune novità importanti. Fra queste c’è anche il Terzo Concerto per pianoforte e orchestra op. 26, che da lì in poi diventa uno dei più eseguiti del repertorio novecentesco. Lo ascolteremo in una storica esecuzione dello stesso Prokof’ev.
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Il 1917, l’anno fatidico della Rivoluzione vede Prokof’ev quasi del tutto estraneo agli eventi che “sconvolsero il mondo”: tutte le sue energie sono indirizzate alla composizione. Per questo si rifugia in luoghi lontani dal clima incandescente di quei giorni esi dedica a lavori alieni da incertezze e paure. Si tratta del Primo Concerto per violino e orchestra, della Sinfonia “Classica” e, per quanto riguarda il pianoforte, della Terza Sonata op. 28 e della Quarta Sonata op. 29. Entrambe scaturiscono “d’après des vieux cahiers”, cioè da materiali che risalgono agli anni sereni e felici dell’infanzia o della gioventù. Ascolteremo queste due pagine nelle esecuzioni di Emil Gilels e di Sviatoslav Richter.
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Tra il 1914 e il 1917 Prokof’ev si affaccia prepotentemente sul mondo musicale con lavori come la Suite scita op. 20 per orchestra, il balletto Il buffone e l’opera Il giocatore. Negli stessi anni il suo pianoforte accoglie e restituisce i segnali più modernisti della ricerca artistica russa del periodo pre-rivoluzionario e rivoluzionario. Ne sono testimonianze emblematiche i Sarcasmi op. 17 e le Visioni fugaci op. 22.
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Seguiamo le vicende, burrascose ma esemplari, che accompagnarono la nascita, il debutto e le accoglienze del colossale Concerto in sol minore n. 2 op. 16. Questa pagina rimane, per molti versi, un unicum nel catalogo di Prokof’ev e uno dei vertici assoluti del pianismo novecentesco. Ne scopriamo alcuni segreti seguendone il fascino energico ed elettrizzante attraverso una rara esecuzione di Vladimir Ashkenazy accompagnato sul podio da Leonard Bernstein.
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Nel 1912 Prokof’ev compone la Sonata in re minore n. 2 op. 14, suo primo capolavoro nel genere sonatistico. All’analisi della genesi della Sonata e della concretezza musicale di questa partitura – che ascoltiamo nella storica esecuzione di Emil Gilels – si accompagna il racconto della vita sempre più intensa e movimentata del giovane artista.
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Tra il 1911 e il 1912 il genio di Sergej Prokof’ev esplode nella vita artistica di San Pietroburgo. Lo testimoniano le opere 10, 11 e 12. Lui ha solo diciannove anni ed è ancora uno studente del Conservatorio, ma la sua personalità è talmente forte da porlo al centro di eventi e di confronti memorabili.
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Questa prima puntata è dedicata agli anni compresi tra il 1907 e il 1910 e comprende le opere 1, 2, 3 e 4 del giovane Prokof’ev. Il viaggio attraverso l’intero catalogo pianistico del compositore inizia con un tratto fortemente simbolico. C’è la narrazione della gioventù e degli anni di formazione del compositore, dei quali il pianoforte fu compagno inseparabile, c’è il rarissimo ascolto di una sua deliziosa pagina infantile, ci sono il racconto e l’ascolto delle sue prime composizioni ufficiali, tutte significativamente dedicate al pianoforte.